martedì 8 luglio 2014

¡Alerta que camina la espada de Bolívar por América Latina!



¡Que viva Venezuela! È una frase semplice, sicuramente poco analitica, ma rappresenta una necessità concreta e improrogabile. Si presta, inoltre, a considerazioni che vanno anche oltre il caso venezuelano: come Rete “Noi Saremo Tutto” abbiamo notato che negli ultimi anni la sinistra italiana – anche nella sua versione antagonista – presenta una difficoltà, che è quasi una reticenza, a difendere i Paesi antimperialisti e socialisti. I discorsi dei compagni sono spesso infarciti di “sì, però…”, “è vero, ma anche…” che si traducono in uno scarso impegno nella causa internazionalista. Ogni Paese ha il suo percorso, ed è possibile che commetta errori. D’altronde è solo facendo che si sbaglia, mentre il commentare seduti a una scrivania è un’attività piuttosto comoda e indolore, per quanto scarsamente utile. Il Venezuela è dal 1999 la patria di una rivoluzione che parte da molto tempo prima, dal sogno e dalla spada di Simón Bolívar. Soprattutto, dall’entusiasmo di un intero popolo, dall’entusiasmo dello stalliere che sellava il cavallo di Bolívar, come ebbe a scrivere Luis Sepúlveda.
Dal 1999 in poi il Venezuela ha conosciuto tutte le diverse tipologie di attacco neo-imperialista: veri e propri golpe militari – sventati dalla fedeltà del popolo venezuelano – guerre economiche, dissidenze interne foraggiate dai dollari, attacchi mediatici, tentativi di isolamento a livello internazionale e diplomatico. Gli Stati Uniti hanno tentato tutte le strade possibili per “normalizzare” il Venezuela, temendo che la Repubblica bolivariana potesse fungere da esempio per altri Paesi latinoamericani, come è puntualmente accaduto e continua ad accadere. Negli ultimi tempi, soprattutto dopo la morte del Comandante Chávez, la strada tentata è stata quella del “golpe suave”, con una destra che presentava il suo “volto pulito”, ma intanto organizzava un’offensiva armata che colpiva i chavisti, cioè le forze popolari. Si è trattato solo dell’ultimo tentativo di sovvertire la Repubblica Bolivariana e non è detto che sia quello definitivo. Non è detto, inoltre, che precluda un intervento militare vero e proprio, anche perché la recente strategia statunitense appare “multilivello”: creazione di una forte inflazione mediante meccanismi speculativi (così da scontentare la popolazione interna), costruzione di un clima di violenza per intimidire i chavisti e comunicare alla comunità internazionale l’opportunità di un intervento, rappresentazione mediatica totalmente in favore dei cosiddetti “ribelli”, in modo da rinforzare gli obiettivi dei primi due livelli.
La Repubblica Bolivariana come ha risposto a questi attacchi? Non cedendo mai alla tentazione di contrapporre violenza a violenza, cercando invece di mantenersi nell’alveo della legalità e della democrazia. Il Venezuela ha confidato nella fedeltà del popolo chavista e non ha mai chiesto al suo esercito di colpire gli oppositori politici, di introdurre uno stato di eccezione e di sospendere le libertà fondamentali. Il Presidente Maduro sa perfettamente che le forze imperialiste cercano appositamente un’escalation di violenza, così da poter giustificare uno di quegli “interventi umanitari” che abbiamo imparato a conoscere. Per questo motivo, nessuna violenza governativa e piena fiducia nella resistenza bolivariana!
Qui, però, entriamo in gioco noi, come militanti internazionalisti e anti-imperialisti: la costruzione di un forte fronte di mobilitazione in favore del Venezuela bolivariano e chavista renderebbe più forte la resistenza venezuelana e consiglierebbe all’imperialismo una maggior cautela. Per questo motivo lo scorso 29 giugno diverse decine di associazioni di solidarietà, collettivi politici e partiti si sono visti al centro sociale romano S.Cu.P. – Sport e Cultura Popolare, alla presenza della compagna Gladys Urbaneja Durán (ambasciatrice della Repubblica Bolivariana presso la FAO) del compagno Julián Isaías Rodríguez (ambasciatore della Repubblica Bolivariana in Italia) per costruire la prima Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana, alla stregua di quanto già è attivo e funziona altrove (nel Paese Basco e in Francia, giusto per rimanere in Europa). Crediamo che un punto sia fondamentale: non serve l’ennesima sigla-contenitore di associazioni e collettivi che, in realtà, continuano a lavorare singolarmente e isolatamente. Quello che serve è un’effettiva rete di solidarietà che faccia un intervento incisivo intorno ad alcune direttrici: 1) contro-informazione necessaria ad annullare, quantomeno contenere, la “guerra mediatica” contro il governo bolivariano; 2) azioni concrete per ribadire il ruolo del Venezuela all’interno del socialismo del XXI secolo; 3) approfondimento del dibattito in corso in Venezuela e dei futuri sviluppi dell’Alba; 4) collegamento tra le esperienze latino-americane e gli altri contesti (i “Sud del mondo”) in cui il capitalismo globale estrae il plusvalore dalla produzione, al fine di indicare un modello possibile di emancipazione.
Lo abbiamo sempre detto e scritto: probabilmente il Venezuela non è (ancora) il paradiso del comunismo, sicuramente vive le sue contraddizioni e, nello specifico dei tempi attuali, sta conoscendo una transizione difficile, come testimoniato dalla recente lettera di Jorge Giordani, ministro per la Pianificazione. Siamo abituati a osservare e giudicare le vicende degli altri Paesi e degli altri compagni, proviamo a invertire la rotta e fare un minimo di autocritica. Ci troviamo di fronte a un bivio: lavorare per il consolidamento della Rivoluzione Bolivariana oppure comportarci da arguti commentatori politici, quelli con il ditino sempre alzato.




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