mercoledì 26 giugno 2013

Bilderberg 2013. Le presunte novità, chi ha partecipato e di cosa si è discusso



Bilderberg 2013. Le presunte novità, chi ha partecipato e di cosa si è discusso
L'ultimo incontro annuale del Bilderberg si è tenuto tra il 6 ed  il 9 giugno 2013 in un hotel di lusso della campagna inglese circondato, come di consueto, da un cordone protettivo di polizia. Eppure, quest'anno il Gruppo Bilderberg, su sollecitazione del premier britannico Cameron, anch'egli tra gli invitati, aveva promesso una maggiore trasparenza, predisponendo un ufficio stampa per i giornalisti. Una mossa che, nelle intenzioni degli organizzatori, avrebbe dovuto contrastare le accuse, sempre più frequenti, di manipolazione delle politiche nazionali e mondiali da parte del Bilderberg. Da parte di alcuni mass media si è persino presentata come una novità la pubblicazione dell'elenco degli invitati e delle tematiche dei dibattiti sul sito dell'organizzazione, quando, invece, è da diverso tempo che queste informazioni vengono rese pubbliche.

Al contrario e come sempre, l'essenziale, cioè i contenuti e le conclusioni delle discussioni, continua ad essere coperto dal più stretto riserbo. Rimane, dunque, il problema politico fondamentale ovvero la mancanza di trasparenza relativa non ad una semplice cena d'affari, ma ad un incontro ai massimi livelli, tra esponenti del potere economico e del potere politico, organizzato per discutere di aspetti fondamentali per la vita di centinaia di milioni di cittadini europei e americani. Soprattutto, la partecipazione di politici eletti e di funzionari statali ad un evento simile solleva molti interrogativi sulla indebita commistione tra pubblico e privato e non depone certo a favore di un corretto, e soprattutto socialmente neutrale, funzionamento della democrazia politica e dello Stato in Occidente.

Ma vediamo chi sono e di cosa hanno discusso i partecipanti all'incontro dell'Hertfordshire. Come sempre a partecipare sono solamente personalità provenienti dagli Usa, dal Canada e dall'Europa Occidentale. Quest'anno, a parte il ministro delle finanze polacco Jacek Rostowsky, che, però, è britannico per nascita ed educazione,  non si sono verificate neppure le timide aperture a businessmen, intellettuali e politici dell'Est europeo, specialmente russi, della Cina o di altre regioni, che si erano verificate nel 2010-2012. Tranne poche eccezioni, i partecipanti vengono da Paesi che appartengono alla Nato. Il che è coerente con il carattere fortemente "atlantico" del Gruppo Bilderberg, basato sull'alleanza politico-economica-militare tra Usa ed Europa Occidentale.

In questo senso va spiegata la presenza nel Bilderberg della non europea ed islamica Turchia. Questo Paese è il principale partner militare della Nato dopo gli Usa e sta rivestendo un ruolo fondamentale anti-Assad in Siria. Inoltre, è considerato un esempio di liberismo economico e di islamismo moderato da esportare nel resto del Medio Oriente. O almeno lo era prima della violenta ondata di repressione poliziesca in atto in queste ultime settimane. Quest'anno la Turchia ha presentato una delegazione più numerosa del solito, costituita da un docente universitario, un giornalista, due importanti imprenditori, e due politici. Coerente con il suo orientamento bipartisan, il Bilderberg ha invitato sia l'islamico Ali Babacan, vice premier e ministro delle finanze, sia Safak Pavey del principale partito d'opposizione, il laico e kemalista CHP.

Gli invitati di quest'anno erano 138, di cui solo 34 sono membri fissi del Bilderberg, facendo parte del comitato direttivo. La presenza anglosassone, considerata come singole nazioni, è schiacciante. Quest'anno gli Usa sono stati presenti con 33 invitati (24% sul totale), seguiti dalla Gran Bretagna con 23 (16,7%), dalla Francia con 10, dalla Germania con 8, e da Canada, Italia, Olanda e Turchia con 6. Gli altri paesi hanno presenze più ridotte. Nell'insieme, però, l'Europa è prevalente: la Ue ha 81 presenze e l'area euro 49.  Vi sono, inoltre, 5 personalità qualificate come internazionali, perché rappresentano organizzazioni sovranazionali, come il presidente della Commissione europea, Barroso.

Se andiamo a vedere le presenze per appartenenza di
gruppo sociale, prevalgono tre categorie. In primo luogo, le grandi corporation private che partecipano con 65 personalità (47,1%), poi i politici e i funzionari statali con 38 personalità (27,5%), e infine gli intellettuali con 28 (20,3%). Tra le imprese private ne abbiamo 28 finanziarie, tra cui alcune delle più importanti banche del mondo come Goldman Sachs, Hsbc, Barclays, Deutsche Bank, e assicurazioni come Axa, Zurich e Prudential. Abbiamo poi 37 personalità provenienti da multinazionali  leader nei rispettivi settori industriali, tra cui Royal Dutch Shell, British Petroleum, Alcoa, Eads, Bae System, Michelin, Siemens, Novartis, Heineken, Microsoft, Amazon e Google. Un settore molto rappresentato è quello dei media, con 8 personalità. Tra i politici i nomi sono di vertice. Prevalgono i ministri economici e degli esteri, ma non mancano i primi ministri come l'olandese Rutte e gli ex premier italiano, Mario Monti, e francese, François Fillon, o banchieri nazionali come lo svizzero Tomas Jordan.

La provenienza è bipartisan, dai partiti "moderati" sia del centro-destra che del centro-sinistra.  Ad esempio, per la Gran Bretagna troviamo sia il ministro delle finanze conservatore, George Osborne, sia quello "ombra" laburista, Edwards Balls, mentre per la Svezia abbiamo Borg e Bildt, ministri di centro-destra degli esteri e delle finanze e Stefan Lofven, capo del partito socialdemocratico ed ex leader dei metalmeccanici svedesi, tutti invitati da Jacob Wallenberg, membro del comitato direttivo del Bilderberg e imprenditore più potente della Svezia.

Ci sono, inoltre, alcune importanti figure appartenenti ad organismi sovrannazionali come Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale, il già citato Barroso,Viviane Reding, vice presidente della Commissione europea e commissario alla Giustizia e Olivier de Balinchove, comandante dell'Eurocorps, la forza multinazionale europea che fa capo alla Ue ma agisce sotto il controllo della Nato. Tra gli esponenti dei think tank, spesso statunitensi, di orientamento neoconservatore ed emanazione di fondazioni di grandi corporation industriali e bancarie, troviamo nomi famosi come Richard Perle, ex consulente di George W. H. Bush, Robert Zoellick, ex presidente della Banca Mondiale, e Robert Rubin, ex ministro del Tesoro di Bill Clinton. Tra gli ex politici e funzionari di spicco troviamo Kissinger, forse il più importante segretario di Stato della storia Usa recente, David Petreus, ex comandante in Iraq e Afghanistan ed ex direttore della Cia (dimessosi di recente per uno scandalo) ed ora manager di Kkr, colosso Usa del private equity, e Timothy Geithner, ex ministro del Tesoro di Obama.

Anche gli italiani presenti al meeting del 2013 sono figure di spicco dell'establishment economico e politico nazionale, con importanti connessioni internazionali. Oltre al già citato Monti, che per anni è stato membro del comitato direttivo, abbiamo Franco Bernabè, attuale rappresentante italiano al direttivo del Bilderberg e presidente di Telecom Italia, Enrico Tommaso Cucchiani, amministratore delegato di Intesa San paolo, la principale banca italiana, Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, la banca al centro della storica "Galassia del Nord" e del patto di sindacato di Rcs-Corriere della Sera, il nucleo più forte del capitalismo italiano, Gianfelice Rocca presidente del gruppo di ingegneria e costruzioni Techint e di Assolombarda, la potente associazione degli imprenditori della Lombardia, e infine la giornalista Gruber. C'è poi un altro italiano, Emanuele Ottolenghi, che è un esperto di Iran e Medio Oriente e figura come appartenente al gruppo statunitense, facendo capo al think tank Foundation for Defence of Democracies.

Di fatto, il Bilderberg, come è facilmente intuibile dalla composizione dei suoi partecipanti, è il momento di incontro tra il grande capitale transnazionale e i decision maker, i vertici politici e i burocratici nazionali ed internazionali, con la mediazione del personale intellettuale dei think tank e dei centri di ricerca legati ai grandi gruppi economici. Un momento di incontro in cui si discutono e si socializzano le linee guida che dovranno ispirare le politiche, in genere bipartisan,  delle singole nazioni e dell'Europa.

Quali siano  i temi cui si applicheranno tali linee guida è facile dirlo, visto che il Bilderberg lo rivela chiaramente anche quest'anno. Si tratta di temi "caldi":  le politiche dell'Unione Europea, la crescita e la disoccupazione in Europa e negli Usa, il Medio Oriente, l'Africa, la politica estera Usa, il nazionalismo ed il populismo, la questione del debito, la cyberguerra e le minacce asimmetriche. Quali siano i contenuti e soprattutto gli interessi cui si ispirano gli indirizzi generali, che poi verranno tradotti in politiche, è facile intuirlo, vista la prevalenza degli esponenti dell'alta finanza e della grande industria degli Usa e dei paesi europei più potenti. Così come è facile intuire che tali indirizzi saranno ripresi ampiamente e veicolati fra l'opinione pubblica nazionale ed internazionale dai mass media e dagli opinion maker presenti al Bilderberg.
 
Domenico Moro:
 Club Bilderberg - Gli uomini che comandano il mondo


Recensione di Alexander Höbel

Sul Gruppo Bilderberg e organismi affini è fiorita in questi anni una letteratura di taglio "complottistico" che, per quanto attraente per molti lettori, di fatto non favorisce una reale comprensione del fenomeno. In una direzione diversa va invece il libro di Domenico Moro (Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo, Aliberti 2013), che colloca la questione in un quadro più ampio, quello dell'attuale fase della storia del capitalismo e delle dinamiche della lotta di classe; Moro insomma affronta il problema da un punto di vista marxista.

Se il titolo e il cuore del libro riguardano il Club Bilderberg (cui si aggiunge la più giovane Trilateral), sullo sfondo ci sono questioni più complessive, il ruolo delle élite (e del "ritorno delle élite" parla anche l'ultimo libro di Rita di Leo), i caratteri dell'attuale oligarchia capitalistica trans-nazionale, le forze di classe in campo e gli scontri in atto sul piano globale, la questione della democrazia e della sua crisi.

Se partiamo da quest'ultimo punto, non possiamo che partire dalla straordinaria avanzata della "democrazia organizzata", della partecipazione popolare e dei partiti di massa, che riguardò molti paesi e l'Italia in modo particolare negli anni Sessanta e Settanta. Fu allora che la domanda sociale crescente trovò sbocchi politici e anche legislativi nella costruzione del Welfare State e in quelle riforme (riforme vere, ben diverse dalle controriforme degli ultimi decenni) che determinarono il progresso sociale e civile, tra gli altri, del nostro paese. La costruzione dello Stato sociale - forma peraltro del salario indiretto - e le conquiste salariali vere e proprie, accanto al generale spostamento nel rapporto di forza tra le classi nella società, nella politica e nelle istituzioni rappresentative (dunque nello Stato stesso), misero dunque in allarme le classi dominanti, che proprio negli anni Settanta (apice della loro difficoltà sul piano mondiale) avviarono la loro micidiale controffensiva, dotandosi di strumenti nuovi, quali appunto la Commissione trilaterale. E non a caso, uno dei primi documenti di questa struttura, fu quel testo sulla "crisi della democrazia" che Domenico Moro cita ampiamente, opera di quel Samuel Huntington che diventato famoso in anni recenti per la sua pseudo-teoria dello "scontro di civiltà", e di Michel Crozier, il quale individuava il pericolo principale nei partiti comunisti, a partire da quelli europei, "le sole istituzioni rimaste nell'Europa occidentale la cui autorità non venga messa in dubbio" (p. 119).

Da allora, nel dibattito pubblico, la governabilità iniziava a prendere il posto della rappresentanza, fino a sostituirla quasi del tutto, giungendo a quello svuotamento delle istituzioni rappresentative e alla conseguente apatia politica di massa che oggi sono davanti ai nostri occhi.

Il libro di Moro, peraltro, mostra come quella controffensiva fosse iniziata ancora prima, negli anni Cinquanta; gli anni più duri della guerra fredda, quelli della nascita di Gladio e della rete Stay-behind, e appunto del Club Bilderberg, fondato nel 1954 da esponenti del grande capitale come David Rockefeller. E non a caso, l'anticomunismo e la lotta al blocco sovietico sono al centro dei primi incontri del Club. Ma che cosa è dunque il Gruppo Bilderberg? Secondo la definizione che ne dà Domenico Moro, è "il luogo dove il capitale finanziario si incontra con la politica internazionale" (p. 72), e infatti al suo interno troviamo finanzieri, proprietari e dirigenti di corporation, grandi manager privati e pubblici, uomini politici, accademici, giornalisti. Ed è molto interessante il meccanismo descritto nel libro, quello delle "porte girevoli", per cui un ministro (o, nel caso degli USA, un segretario di Stato) si ritrova poi al vertice di una multinazionale, o magari ne aveva fatto parte prima (tipici i casi di Dick Cheney, Donald Rumsfeld e molti altri esponenti dell'amministrazione Bush), mentre grandi manager pubblici come Romano Prodi dopo aver portato avanti massicce privatizzazioni si ritrovano presidenti del Consiglio o ai vertici dell'Unione europea, o ancora uomini come Mario Draghi passano da presidente del Comitato economico e finanziario del Consiglio della UE a direttore generale del Ministero del Tesoro italiano, per poi diventare vicepresidente della Goldman-Sachs, infine governatore della Banca d'Italia e infine presidente della Banca centrale europea.

Ed è inquietante il dato - documentato da Moro - per cui per il Club Bilderberg sono passati tutti i ministri delle Finanze italiani degli ultimi anni, due governatori della Banca d'Italia e almeno due presidenti del Consiglio, tra cui quello attualmente in carica.

La commistione e lo scambio continuo tra settori diversi dell'oligarchia è a sua volta il riflesso di un intreccio sempre più stretto fra grandi corporation, Stati e organismi sovranazionali. Quella che compare sulla scena è dunque una nuova classe dominante, quella che Leslie Sklair chiama "classe capitalistica transnazionale", una definizione ripresa in Italia da Luciano Gallino (La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza 2012) e che anche Domenico Moro fa propria e sviluppa, descrivendo attraverso alcuni dei suoi principali esponenti una classe, che oltre che nel Club Bilderberg e nella Trilateral trova luoghi di coordinamento e "camere di compensazione" anche in altri organismi, come il World Economic Forum di Davos.

Questa classe - il libro lo mette bene in luce - ha vari punti di forza: la grande omogeneità ideologica, una forte capacità di egemonia attraverso think-tank e mass-media, e infine appunto quel carattere trans-nazionale che ha spiazzato il movimento operaio. E però ha anche rilevanti punti deboli. Come osserva l'Autore, infatti, la complessità del quadro e la stessa molteplicità della sua composizione e dei suoi interessi pongono seri limiti "alla sua capacità di controllare il processo sociale complessivo e soprattutto di organizzare un ordine mondiale" stabile (p. 131). Non a caso, la potenza ancora egemone, quella statunitense, attraversa una crisi grave, che ha finora superato grazie al signoraggio del dollaro e alla sua stessa collocazione nel mercato mondiale; ma non è più in grado di svolgere il suo ruolo, e quindi è sempre più spesso indotta all'uso della forza militare, attuando quello che alcuni studiosi hanno definito un "dominio senza egemonia", per non parlare della crisi di legittimità che si è aperta ormai esplicitamente. E non a caso il restringimento degli spazi democratici continua, all'interno degli Stati nazionali e grazie alle cessioni di sovranità ad organismi sovranazionali privi di ogni legittimazione.

D'altra parte, Moro osserva come questa classe abbia potuto portare avanti il suo programma anche grazie alla globalizzazione, alla mondializzazione del ciclo produttivo, dei mercati e dell'economia in generale, che ha messo in seria difficoltà il movimento dei lavoratori, che fino ad allora aveva contrastato l'avversario sul terreno nazionale, ottenendo risultati non irrilevanti.

Se questo è vero, è chiaro che i versanti su cui agire sono almeno due: la difesa degli spazi di sovranità nazionale rimasti e la ricostruzione di spazi di sovranità popolare sulle decisioni più rilevanti; l'internazionalizzazione della risposta, dell'organizzazione e della strategia del movimento operaio che incredibilmente - nato internazionalista - proprio su questo terreno è rimasto indietro. Su entrambi i fronti - e su quello di una nuova lotta per la democrazia - il fronte che si può costruire è molto ampio, a patto che ci si doti degli strumenti di analisi e controffensiva ideologica e culturale, e di organizzazione politica e sindacale, adeguate; in sostanza a patto che il movimento dei lavoratori riacquisti una sua autonomia strategica. Lo slogan "voi 1%, noi 99%" sebbene ingenuo e per certi versi sbagliato, segnala che si sta facendo strada una nuova consapevolezza della contrapposizione di interessi tra la stragrande maggioranza della popolazione e oligarchie sempre più ristrette, uno dei punti essenziali della riflessione di Marx.

Su questa strada, i comunisti e gli anticapitalisti in generale hanno praterie davanti a sé, o se si preferisce un oceano dentro al quale devono reimparare a nuotare. Per farlo devono però tornare a orientarsi attraverso un serio lavoro di analisi. Il libro di Domenico Moro offre in tal senso un contributo importante.
Tratto da :
Immagini inserite da autore blog corrente

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