mercoledì 6 maggio 2015

Carlo Marx, i rivoluzionari e i neoliberali


di Sergio Alejandro Gómez / internet@granma.cu

A 197 anni dalla sua nascita, il pensiero del filosofo ed economista tedesco continuano a girare il mondo
4 maggio 2015.- Carlo Marx non è solo un riferimento per chi lotta per un cambio sociale, anche i suoi più energici detrattori sono costretti a consultarlo in tempi di crisi. Di fatto, è quasi del tutto impossibile ignorare questo economista e filosofo tedesco del XIX secolo, che ebbe la lungimiranza di predire con esattezza l’instabilità del capitalismo e di lottare per tutto l’arco della sua vita a favore di un sistema che superasse le sue ingiustizie e contraddizioni. Sviato da taluni e demonizzato da altri, le sue idee rappresentano tuttora una miscela esplosiva in tempi di crisi. Un inchiesta della BBC del 1999 lo ha definito come il “pensatore del millennio”, superando per importanza non poche delle principali figure della scienza, come Albert Einstein.
Secondo lo storico britannico, Eric Hobsbawm, durante la seconda metà del Ventesimo secolo, quasi tre quarti dell’umanità viveva in un sistema politico con alcuni orientamenti di tipo socialista e che si ispiravano a Marx. Nonostante i cambiamenti e le convulsioni che viviamo oggi, che configurano un mondo invero differente a quello della Prussia che vide nascere Marx il 5 maggio 1818, questi ultimi due secoli non hanno fanno nient’altro che confermare molte delle sue tesi. Non è un caso, infatti, che solo nel 2009 la vendita dei “Il Capitale”, il miglior testo in circolazione che analizza con precisione il funzionamento del sistema capitalista, è andato a “ruba” sia negli Stati Uniti che in Europa. Ora di fronte all’incapacità d’analisi della crisi da parte dei “think thank” neo-cons – gli stessi che parlano della mano invisibile del mercato – molti politici come l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy dovettero ammettere di aver dovuto leggere quell’opera per comprendere la crisi strutturale del capitalismo.
Ciò nondimeno, le “ricette” dell’economista britannico John Maynard Keynes – che di certo è colpevole di qualsiasi cosa tranne di essere un rivoluzionario – svolsero una funzione egemonizzante per un breve periodo, lasciando in ombra gli studi di Marx. Le sue ricette contro la crisi è sul ruolo strategico dello stato nel capitalismo segnarono la maggior parte degli studi e delle analisi del secolo passato; sebbene con la discesa del neoliberalismo i suoi scritti cominciarono ad essere dimenticati. Fu Marx che predisse con precisione che il peso della crisi sarebbe ricaduto sulle spalle dei lavoratori e che infine i pesci grandi che avrebbero mangiato quelli piccoli, in quello che egli definiva come il costante processo di accumulazione della ricchezza. Ebbene, questa realtà la vivono oggi milioni di persone, ivi incluso nella ricca Europa, dove non solo cadde il Muro di Berlino, ma anche quello dello stato sociale, che salvaguardava i lavoratori dall’espropriazione capitalista, garantendogli i diritti sociali.
Ora, se certe categorie come borghesia e proletariato possono sembrare di primo acchito antiquate per i nostri tempi, le rivendicazioni di quel 99% che è stanco di quel 1% che prende le decisioni su tutte le questioni più importanti, è senz’altro una conferma che la lotta di classe è il motore della storia, come ebbe a dire Marx. Qualche tempo fa, un libro di 650 pagine scritto dall’economista francese Thomas Piketty si è convertito in un best seller mondiale, là dove prende spunto per le sue analisi da una delle principali tesi del pensiero marxista: la tendenza verso l’accumulazione del capitale, dove i poveri saranno sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Il testo ha generato una discussione per nulla pacifica e taluni economisti in doppio petto hanno cercato di confutare i dati degli ultimi trent’anni che ha utilizzato l’economista francese. E chissà che questo non è servito a qualcosa. Queste tesi così chiare e semplici smontano con precisione il mito che la modernità porterebbe con se i benefici dei potenti alla intera maggioranza della popolazione mondiale, come del resto lo aveva già spiegato lo stesso Marx.
Come dimostrano molte inchieste del cosiddetto “Primo Mondo”, gli adulti di oggi non si sentono sicuri che i loro figli riescano a vivere meglio di loro e – anzi – sono convinti che i loro genitori vissero una congiuntura migliore della loro. “Tutto ciò che è solido, svanisce nell’aria”, ebbe a scrivere Marx nel Manifesto Comunista in merito alla tendenza distruttiva e nel contempo creatrice del capitalismo. Era il 1848, non c’erano né internet e nemmeno i telefoni della Apple.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessandro Pagani

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