Il duro
rapporto della Confederazione sindacale internazionale (CSI) rivela una verità
conosciuta a tutti: il Qatar, amico di Sarkozy e Hollande, è il paese della
schiavitù moderna con già 1.400 operai immigrati morti nei cantieri dei
Mondiali 2022.
Quanto vale la
vita di un operaio nepalese, quale è il valore dei diritti dell'uomo? Ben poco
a giudicare dal riserbo dei nostri dirigenti sulla vergognosa situazione in
Qatar, proprio loro che sono così pronti a indignarsi quando i propri interessi
sono in gioco, in Ucraina, in Libia, in Siria o in Mali.
Attraverso un
mal celato sistema di corruzione, il Qatar ha ottenuto nel 2010
l'organizzazione della Coppa del mondo di calcio 2022, con la complicità delle
grandi potenze. Il governo Sarkozy poi aveva offerto su un piatto d'argento il
Paris-Saint-Germain. [Al-Khelaifi, uomo d'affari qatariota e direttore di Al
Jazeera Sports diventa nel 2011 il primo presidente non francese del club di
calcio parigino, ndt]
Quattro anni
dopo, il rapporto della CSI apre gli occhi anche agli ipocriti: "Il
dossier contro il Qatar" rivela le violazioni dei diritti dei lavoratori
ad un livello senza precedenti nell'organizzazione dei grandi avvenimenti
sportivi, il disprezzo delle libertà e della vita degli operai.
Il Qatar conta
1,5 milioni di immigrati su 2 milioni di abitanti. Un esercito di schiavi al
servizio di una casta dominante, nel paese dal Pil pro capite più elevato del
mondo. Ecco una sintesi di ciò che i nostri dirigenti garantiscono in nome del
"circo" moderno.
Il
"kafala", un sistema contro i diritti dei migranti
Gli operai
immigrati che lavorano nei cantieri sono privati di ogni libertà nel quadro del
sistema "kafala": tutti gli operai immigrati sono sotto la
responsabilità di un "kafil", un padrino che ha il controllo totale
sui loro movimenti, nel paese come all'estero.
Il
"kafil" può confiscare il passaporto dell'operaio - è il caso del 90%
dei migranti - e privarlo di ogni tutela giuridica.
È allora alla
mercé dei sinistri "campi di detenzione", dove sono ammassate
parecchie centinaia di operai in uno stesso locale, sottomessi all'arbitrio,
senza tutela legale né soddisfacimento dei bisogni più elementari.
Il lavoro
forzato, la norma in Qatar
Il regime di
lavoro forzato è la norma per i migranti in Qatar. Quasi tutti gli operai
immigrati sono passati da una "agenzia di reclutamento" che addossa
sui migranti nepalesi, indiani, filippini, indonesiani dei costi che vanno da
1.000 a 10.000 dollari a testa.
Questa
situazione indebita i migranti a tassi esorbitanti. Miserabili al loro paese,
col sogno di stipendi che permettano di fare vivere le loro famiglie in Nepal o
in India, contraggono debiti che li costringono ad entrare in una situazione di
dipendenza economica permanente coi loro padroni.
Gli stipendi
sembrano attraenti - almeno 250 $ per i migranti asiatici - rispetto allo
stipendio nel paese di origine. Le cifre però sono ingannevoli: una buona parte
dello stipendio è trattenuta dal datore di lavoro per l'alloggio, il cibo, i
trasporti, in un paese dove il costo della vita è comparabile a quello dei
paesi ricchi. Senza dimenticare che un terzo di loro (il 34% degli operai,
secondo un'inchiesta dell'Ispettorato del lavoro qatariota, (sic), non
ha avuto alcuna retribuzione in questi ultimi mesi.
La schiavitù
del XXI secolo è in Qatar!
Le condizioni
di lavoro nei cantieri superano quelle delle peggiori miniere e fabbriche
dell'Ottocento. Giornate dalle 8 alle 12 ore di lavoro, tra giugno e settembre,
con quasi 50° all'ombra. E questi paiono quasi privilegiati in rapporto ai
lavoratori domestici, quasi essenzialmente donne, che passano dal lavoro
forzato alla schiavitù pura e semplice.
Non sono
protette da alcuna legge, spesso private di cibo, di un alloggio decente, con
salari bassissimi, sottoposte a percosse, torture, stupri. L'ambasciata
dell'Indonesia accoglie ogni giorno da 5 a 10 lavoratori domestici in cerca di
rifugio per sfuggire alla schiavitù domestica.
Le condizioni
di vita non sono migliori per i migranti. Confinati nei "campi di
lavoro", nei quartieri lontani dal resto della città, sconosciuti anche
alle autorità internazionali. I loro alloggi, pagati con una decurtazione dal
salario, non hanno nulla a che vedere con una "casa popolare": sono
tuguri di una stanza in cui vivono otto o dieci operai, spesso senza condizioni
sanitarie adeguate. Un numero di alloggi è dotato di acqua… salata per lavarsi
o cucinare!
Per difendere
migliori condizioni salariali, di lavoro, di vita, i migranti non hanno il
diritto ad alcuna contrattazione collettiva, a nessuna organizzazione
sindacale. Qualsiasi protesta potrebbe portare alla revoca della protezione del
"kafil", mettendo così il lavoratore alla mercé dell'arbitrio delle
autorità e impedendogli persino il ritorno.
In modo ancora
più perverso, il governo del Qatar ha creato un "Comitato nazionale del
Qatar per i Diritti umani", per presunte indagini sulle violazioni dei
diritti umani. In realtà, questa organizzazione ha lo scopo di identificare i
facinorosi e contestatori per isolarli e punirli.
1.400
lavoratori sono morti... 4.000 nel 2022?
Un conteggio
dello spaventoso numero di morti è ancora impossibile da fare. La CSI parte
dalle cifre delle morti denunciate dalle ambasciate nepalesi e indiane e che
rappresentano la metà degli operai immigrati. Secondo l'ambasciata nepalese,
400 lavoratori migranti sono morti dal 2010 (191 nel 2013). Dal lato indiano, i
morti sarebbero quasi 1.000, ad un ritmo l'anno scorso di 20 al mese. Solo per
questi due paesi si parla di 1.400 morti in tre anni.
Secondo le
stime molto prudenti della CSI, sono 4.000 gli operai immigrati che potrebbero
finire vittime di questo sistema di schiavitù moderna, sapendo che 500mila
operai supplementari dovrebbero essere portati in Qatar entro il 2018.
Rispetto agli
altri grandi eventi mondiali, il confronto è impressionante: la coppa del mondo
del 2010 in Sudfrica ha fatto 2 morti, quella in Brasile del 2014 ha fatto 7
morti, i mondiali in Russia hanno causato la perdita di 8 operai. Se paragonati
ai già 1.400 morti in Qatar, viene il capogiro.
La complicità
delle grandi imprese francesi!
Mentre il
Qatar spenderà almeno 200 miliardi di dollari in infrastrutture - stadi, tgv,
metropolitana, tram, centri commerciali, nuove città - è riluttante nel pagare
qualche migliaio di euro per il milione e mezzo di schiavi moderni.
Tra i complici
di questo sistema, le grandi imprese francesi che corteggiano l'emirato:
Bouygues, Vinci, ma anche Keolis (controllata da SNCF) sono in lizza per i
grossi contratti legati all'organizzazione del mondiale 2022.
La CSI propone
di "fare pressione" sul Qatar per ottenere un ammorbidimento delle
condizioni di sfruttamento, la normalizzazione delle relazioni con uno stato
governato come una "monarchia assoluta", in cui sono negati i diritti
più elementari dei lavoratori.
Il ruolo dei
sindacalisti di classe, dei comunisti è un altro: è necessario avviare un vasto
movimento per spingere al ritiro delle società francesi in Qatar, al
boicottaggio dei campionati mondiali 2022 e delle relative attività in Qatar;
alle sanzioni contro questo stato che finanzia dovunque nel mondo i gruppi più
reazionari, le attività criminali contro il popolo arabo.
Il
boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni devono valere per il Qatar,
l'inferno dei lavoratori. Non facciamo del miraggio dei "panem et
circenses" moderni, la causa della violazione più obbrobriosa dei diritti
dei lavoratori.
Qatar, le « mondial de la honte » : au moins 1 400 ouvriers déjà morts sur les chantiers
Par rapport aux autres grands événements mondiaux, la comparaison est effarante : la coupe du monde 2010 en Afrique du sud a fait 2 morts, celle au Brésil en 2014 a fait 7 morts, celle en Russie a déjà causé la perte de 8 ouvriers. Comparés aux 1 400 déjà morts au Qatar, cela donne le vertige.
Qatar, le « mondial de la honte » : au moins 1 400 ouvriers déjà morts sur les chantiers
Le
rapport de la Confédération syndicale internationale (CSI) est
accablant, il révèle une vérité connue de tous : le Qatar,
ami des Sarkozy et Hollande, est le pays de l'esclavage moderne, 1
400 ouvriers immigrés sont déjà morts sur les chantiers du mondial
2022.
Combien
vaut la vie d'un ouvrier Népalais, quelle est la valeur des droits
de l'Homme ?
Bien faible à voir la discrétion de nos dirigeants sur leur
situation révoltante au Qatar, eux si prompts à s'indigner quand
leurs intérêts sont en jeu, en Ukraine, en Libye, en Syrie ou au
Mali.
Dans
des conditions de corruption à peine dissimulées, le Qatar a obtenu
en 2010 l'organisation de la Coupe du monde de football 2022, avec la
complicité des grandes puissances. Tout comme le gouvernement
Sarkozy lui avait offert sur un plateau le Paris-Saint-Germain.
Quatre
ans après, le rapport de la CSI peut ouvrir les yeux des
hypocrites : « Le dossier contre le Qatar » révèle
des violations des droits des travailleurs à une échelle sans
précédent dans l'organisation des grands événements sportifs, au
mépris des libertés, de la vie des ouvriers.
Le
Qatar compte 1,5 millions de migrants sur 2 millions d'habitants. Une
armée d'esclaves au service d'une caste dominante, dans le pays au
PIB par habitant le plus élevé du monde. Un résumé édifiant de
ce que nos dirigeants cautionnent au nom des « jeux du cirque »
modernes :
Le
« kafala », un système de parrains contre les droits des
migrants
Les
ouvriers migrants travaillant sur les chantiers sont privés de toute
liberté dans le cadre du système du « kafala » :
tout ouvrier migrant est sous la responsabilité d'un « kafil »,
un parrain qui a contrôle total sur les mouvements du travailleurs,
dans le pays et à l'extérieur.
Le
« kafil » peut confisquer le passeport de l'ouvrier –
c'est le cas de 90 % des migrants – le priver de toute protection
juridique.
Il
est alors à la merci des sinistres « camps de détention »,où
sont entassés plusieurs centaines d'ouvriers dans une même pièce,
soumis à l'arbitraire, sans conseiller juridique ni satisfaction des
besoins les plus élémentaires.
Le
travail
forcé,
la norme au Qatar
Le
régime de travail
forcé
est la norme pour les migrants au Qatar. Quasiment tous les ouvriers
immigrés sont passés par une « agence de recrutement »
qui charge les migrants népalais, indiens, philippins, indonésiens
de 1 000 à 10 000 $ par tête.
Cette
situation endette les migrants à des taux exorbitants. Misérables
au pays rêvant de salaires permettant de faire vivre leurs familles
au Népal ou en Inde, ils héritent de dettes qui les forcent à
rentrer dans une situation de dépendance économique permanente avec
leurs employeurs.
Les
salaires paraissent attractifs – au minimum 250 $ pour les migrants
asiatiques – par rapport au salaire dans le pays d'origine.
Les
chiffres sont trompeurs, une bonne partie du salaire est prélevé
par l'employeur pour le logement, la nourriture, les transports, dans
un pays où le coût de la vie est comparable à celui des pays
riches.
Sans
oublier qu'un tiers (34%) des ouvriers, selon une enquête de
l'Inspection
du travail qatari
(sic) n'ont eu aucune rémunération ces derniers mois.
L'esclavage
au XXI ème siècle : c'est au Qatar que cela se passe !
Les
conditions de travail sur les chantiers dépassent celles des pires
mines, usines du XIX ème siècle. Des journées de 8 à 12 heures de
travail, entre juin et septembre, sous près de 50 ° à l'ombre.
Et
encore ceux-ci apparaissent presque comme des privilégiés face aux
travailleurs domestiques. Composés essentiellement de femmes,
celles-ci passent du travail forcé à l'esclavage pur et simple.
Elles
ne sont protégées par aucune loi, souvent privés de nourriture,
d'un logement décent, du moindre salaire, soumises aux coups, aux
tortures, aux viols. L'Ambassade d'Indonésie accueille chaque jour 5
à 10 travailleurs domestiques, demandant un refuge pour fuir
l'esclavage domestique.
Les
conditions de vie ne sont pas meilleures pour les migrants. Cantonnés
dans des « camps de travail », dans des quartiers à
l'écart du reste de la ville, inconnus même des autorités
internationales.
Payés
par prélèvement sur salaire, leur logement n'a rien d'un
« logement
social » : un taudis d'une pièce occupé par huit ou dix
ouvriers, souvent sans les conditions sanitaires adéquates. Nombre
de logements sont équipés d'eau … salée pour se laver ou faire
la cuisine !
Pour
défendre de meilleures conditions salariales, de travail, de vie,
bien entendu les migrants n'ont droit à aucune négociation
collective, aucune organisation syndicale.
Tout
mouvement de protestation peut conduire à la levée de la protection
du « kafil », mettant l'ouvrier à la merci de
l'arbitraire des autorités, lui empêchant même le retour au pays.
Encore
plus pervers, le gouvernement qatari a créé un « Qatar
National human rights committee »,
soi-disant pour enquêter sur les violations des droits de l'Homme.
En réalité, cet organisme vise à identifier les éléments
perturbateurs, protestataire pour mieux les isoler et les punir.
1
400 ouvriers morts … 4 000 d'ici 2022 ?
Effrayant,
le décompte du nombre de morts est pourtant impossible à faire. La
CSI part juste des chiffres de pertes révélés par les ambassades
népalaises et indiennes, qui représentent la moitié des ouvriers
migrants.
Selon
l'ambassade népalaise, 400 ouvriers migrants sont morts depuis 2010
(dont 191 en 2013). Du côté indien, ce serait près de 1 000
ouvriers qui seraient morts, à un rythme de 20 travailleurs morts
par mois pour l'an dernier. Pour deux pays seulement, cela fait 1 400
pertes en trois ans.
Selon
les estimations très prudentes de la CSI, 4 000 ouvriers immigrés
pourraient être victimes de ce système d'esclavage moderne, sachant
que 500 000 ouvriers supplémentaires devraient être transportés au
Qatar d'ici 2018.
Par rapport aux autres grands événements mondiaux, la comparaison est effarante : la coupe du monde 2010 en Afrique du sud a fait 2 morts, celle au Brésil en 2014 a fait 7 morts, celle en Russie a déjà causé la perte de 8 ouvriers. Comparés aux 1 400 déjà morts au Qatar, cela donne le vertige.
Les
grandes entreprises françaises du BTP complices !
Alors
que le Qatar va dépenser au moins 200 milliards de $ en
infrastructures – stades, TGV, métro, tramways, centres
commerciaux, villes nouvelles – il rechigne à verser quelques
milliers d'euros à près de 1,5 millions d'esclaves modernes.
Parmi
les complices de ce système, les grandes entreprises françaises qui
font la cour à l'émirat : Bouygues, Vinci mais aussi Keolis
(filiale de la SNCF) sont en lice pour de gros contrats liés à
l'organisation du mondial 2022.
La
CSI propose de « peser » sur le Qatar pour obtenir un
assouplissement des conditions d'exploitation au Qatar, la
normalisation des relations avec un État gouverné comme une
« monarchie absolue », niant les droits les plus
élémentaires des travailleurs.
Le
rôle des syndicalistes de classe, des communistes est autre :
il faut lancer un vaste mouvement pour pousser au retrait des
entreprises françaises du Qatar ; au boycott du mondial 2022,
et des activités liées au Qatar ; aux sanctions envers cet
Etat qui finance partout dans le monde les groupes les plus
réactionnaires, des activités criminelles contre les peuples,
arabes avant tout.
Boycott,
désinvestissement, sanctions : c'est valable pour le Qatar,
enfer des travailleurs, ne faisons pas des mirages des « pain
et des jeux » modernes une caution pour la violation la plus
ignominieuse des droits des travailleurs.
Il rapporto
della CSI è disponibile qui: http://www.ituc-csi.org/ituc-special-report-the-case?lang=en
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e
Documentazione Popolare
Nessun commento:
Posta un commento