¡Que
viva Venezuela! È una frase semplice, sicuramente poco analitica, ma
rappresenta una necessità concreta e improrogabile. Si presta,
inoltre, a considerazioni che vanno anche oltre il caso venezuelano:
come Rete “Noi Saremo Tutto” abbiamo notato che negli ultimi anni
la sinistra italiana – anche nella sua versione antagonista –
presenta una difficoltà, che è quasi una reticenza, a difendere i
Paesi antimperialisti e socialisti. I discorsi dei compagni sono
spesso infarciti di “sì, però…”, “è vero, ma anche…”
che si traducono in uno scarso impegno nella causa internazionalista.
Ogni Paese ha il suo percorso, ed è possibile che commetta errori.
D’altronde è solo facendo che si sbaglia, mentre il commentare
seduti a una scrivania è un’attività piuttosto comoda e indolore,
per quanto scarsamente utile. Il Venezuela è dal 1999 la patria di
una rivoluzione che parte da molto tempo prima, dal sogno e dalla
spada di Simón Bolívar. Soprattutto, dall’entusiasmo di un intero
popolo, dall’entusiasmo dello stalliere che sellava il cavallo di
Bolívar, come ebbe a scrivere Luis Sepúlveda.
Dal
1999 in poi il Venezuela ha conosciuto tutte le diverse tipologie di
attacco neo-imperialista: veri e propri golpe militari – sventati
dalla fedeltà del popolo venezuelano – guerre economiche,
dissidenze interne foraggiate dai dollari, attacchi mediatici,
tentativi di isolamento a livello internazionale e diplomatico. Gli
Stati Uniti hanno tentato tutte le strade possibili per
“normalizzare” il Venezuela, temendo che la Repubblica
bolivariana potesse fungere da esempio per altri Paesi
latinoamericani, come è puntualmente accaduto e continua ad
accadere. Negli ultimi tempi, soprattutto dopo la morte del
Comandante Chávez, la strada tentata è stata quella del “golpe
suave”, con una destra che presentava il suo “volto pulito”, ma
intanto organizzava un’offensiva armata che colpiva i chavisti,
cioè le forze popolari. Si è trattato solo dell’ultimo tentativo
di sovvertire la Repubblica Bolivariana e non è detto che sia quello
definitivo. Non è detto, inoltre, che precluda un intervento
militare vero e proprio, anche perché la recente strategia
statunitense appare “multilivello”: creazione di una forte
inflazione mediante meccanismi speculativi (così da scontentare la
popolazione interna), costruzione di un clima di violenza per
intimidire i chavisti e comunicare alla comunità internazionale
l’opportunità di un intervento, rappresentazione mediatica
totalmente in favore dei cosiddetti “ribelli”, in modo da
rinforzare gli obiettivi dei primi due livelli.
La
Repubblica Bolivariana come ha risposto a questi attacchi? Non
cedendo mai alla tentazione di contrapporre violenza a violenza,
cercando invece di mantenersi nell’alveo della legalità e della
democrazia. Il Venezuela ha confidato nella fedeltà del popolo
chavista e non ha mai chiesto al suo esercito di colpire gli
oppositori politici, di introdurre uno stato di eccezione e di
sospendere le libertà fondamentali. Il Presidente Maduro sa
perfettamente che le forze imperialiste cercano appositamente
un’escalation di violenza, così da poter giustificare uno di
quegli “interventi umanitari” che abbiamo imparato a conoscere.
Per questo motivo, nessuna violenza governativa e piena fiducia nella
resistenza bolivariana!
Qui,
però, entriamo in gioco noi, come militanti internazionalisti e
anti-imperialisti: la costruzione di un forte fronte di mobilitazione
in favore del Venezuela bolivariano e chavista renderebbe più forte
la resistenza venezuelana e consiglierebbe all’imperialismo una
maggior cautela. Per questo motivo lo scorso 29 giugno diverse decine
di associazioni di solidarietà, collettivi politici e partiti si
sono visti al centro sociale romano S.Cu.P. – Sport e Cultura
Popolare, alla presenza della compagna Gladys Urbaneja Durán
(ambasciatrice della Repubblica Bolivariana presso la FAO) del
compagno Julián Isaías Rodríguez (ambasciatore della Repubblica
Bolivariana in Italia) per costruire la prima Rete di Solidarietà
con la Rivoluzione Bolivariana, alla stregua di quanto già è attivo
e funziona altrove (nel Paese Basco e in Francia, giusto per rimanere
in Europa). Crediamo che un punto sia fondamentale: non serve
l’ennesima sigla-contenitore di associazioni e collettivi che, in
realtà, continuano a lavorare singolarmente e isolatamente. Quello
che serve è un’effettiva rete di solidarietà che faccia un
intervento incisivo intorno ad alcune direttrici: 1)
contro-informazione necessaria ad annullare, quantomeno contenere, la
“guerra mediatica” contro il governo bolivariano; 2) azioni
concrete per ribadire il ruolo del Venezuela all’interno del
socialismo del XXI secolo; 3) approfondimento del dibattito in corso
in Venezuela e dei futuri sviluppi dell’Alba; 4) collegamento tra
le esperienze latino-americane e gli altri contesti (i “Sud del
mondo”) in cui il capitalismo globale estrae il plusvalore dalla
produzione, al fine di indicare un modello possibile di
emancipazione.
Lo
abbiamo sempre detto e scritto: probabilmente il Venezuela non è
(ancora) il paradiso del comunismo, sicuramente vive le sue
contraddizioni e, nello specifico dei tempi attuali, sta conoscendo
una transizione difficile, come testimoniato dalla recente lettera di
Jorge Giordani, ministro per la Pianificazione. Siamo abituati a
osservare e giudicare le vicende degli altri Paesi e degli altri
compagni, proviamo a invertire la rotta e fare un minimo di
autocritica. Ci troviamo di fronte a un bivio: lavorare per il
consolidamento della Rivoluzione Bolivariana oppure comportarci da
arguti commentatori politici, quelli con il ditino sempre alzato.
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