sabato 30 marzo 2013

"Da 200 anni stiamo inoculando tumori in laboratorio"/“Llevamos 200 años inoculando cánceres en el laboratorio”


"Da 200 anni stiamo inoculando tumori in laboratorio"

Uno specialista afferma che la malattia di Chavez potrebbe essere stata provocata


26-03-2013 - www.pascualserrano.net
Perfino prestigiosi specialisti in oncologia hanno
evidenziato l' "epidemia" di cancro tra i presidenti latino americani di sinistra. "Colpisce il fatto che, proprio quando gli Stati Uniti stanno perdendo la battaglia per il controllo del Sud America, siano apparse, in breve lasso di tempo, cinque casi di presidenti, nessuno affine, con il cancro. Uno si domanda, che cosa succede qui?" afferma il Dott. Carlos Cardona, specialista in oncologia molecolare, che ha trascorso 16 anni investigando il cancro in prestigiose università come Cambridge e Birmingham, in Inghilterra, o il Centro di Ricerca sul cancro Fred Hutchinson di Seattle, dove hanno fatto il trapianto di midollo osseo al tenore José Carreras.

In una dichiarazione al quotidiano ABC Cardona afferma che "contrariamente a quanto molta gente pensa, è tecnicamente possibile che il cancro che ha preso la vita di Hugo Chavez sia stato inoculato con l'intento di assassinarlo" (ABC, 15.03.2013). Sebbene gli oncologi clinici abbiano dubbi al riguardo, Cardona segnala che gli oncologi molecolari da 200 anni inoculano tumori in animali da laboratorio per sperimentare. "Io l'ho fatto migliaia di volte e so che è possibile. Solo bisogna un'iniezione in qualsiasi parte del corpo il cui contenuto raggiunga il sangue" dice. Un modo - egli segnala - sarebbe "iniettare linee cellulari tumorali che conosciamo in precedenza, anche di pazienti che sono morti 50 anni fa, attraverso un oncovirus, vale a dire un virus che hai preparato e che trasporta i geni dei tumori soppressori che vengono introdotti nelle cellule e producono il cancro, o iniettando direttamente cancerogeni chimici".

"Se Chávez, per esempio, fosse andato dal dentista, continua, questo avrebbe potuto mettere un anestetico e poi inoculargli un oncovirus o un cancerogeno. Il paziente non se ne accorge e dopo alcuni vari mesi può sviluppare il cancro. Ci sono sostanze chimiche cancerogene che sono specifiche per un organo e altre generalizzate che causano il cancro  indiscriminatamente. Ci sono, per esempio, che possono provocare il cancro nella zona pelvica, che è dove è apparso a Chávez. La maggior parte di queste cose lasciano il segno e, se sei un ricercatore, si può trovare chiedendo un campione del tumore. Si può vedere se è stato un oncovirus, se c'é una qualsiasi linea cellulare, si possono anche fare studi genetici per vedere se il cancro si è sviluppato in modo naturale o atipico ... E' complicato, ma si può scoprire".

E' vero che il quotidiano ABC ha pubblicato numerose speculazioni assurde sulla malattia di Chavez, ma tutte le ha diffuse senza una fonte identificata e rigorosa. Questa volta è la testimonianza di un noto specialista nello studio del cancro. La realtà è che perché la tesi di un avvelenamento da cancro sia solida necessiterebbero due condizioni: che sia tecnicamente possibile e che ci sia un potere nemico di Chavez con la capacità tecnologica necessaria, vocazione criminali e mancanza di scrupoli per farlo. Le dichiarazioni del dottor Carlos Cardona rispondono positivamente alla prima. Per la seconda basta ricordare le più di seicento volte che il più grande nemico di Chavez, gli Stati Uniti d'America, hanno voluto assassinare Fidel Castro (vedi libro del giornalista Luis Baez 'Il merito è essere vivo') e la realtà  quotidiana di chi ogni settimana assassina decine di innocenti con i droni.


Llevamos 200 años inoculando cánceres en el laboratorio”

Un especialista afirma que la enfermedad de Chávez podría haber sido provocada

Hasta prestigiosos especialistas en oncología han destacado la “epidemia” de cáncer entre presidentes latinoamericanos de izquierda. “Llama mucho la atención que, justo cuando Estados Unidos está perdiendo la batalla por el control de Sudamérica, hayan aparecido en poco tiempo cinco casos de presidentes, ninguno afín, con cáncer. Uno se pregunta, ¿aquí que pasa?”, afirma el doctor Carlos Cardona, médico especialista en oncología molecular, que ha estado 16 años investigando el cáncer en universidades tan prestigiosas como Cambridge y Birmingham, en Inglaterra, o en el Centro de Investigación del Cáncer Fred Hutchinson de Seattle, donde hicieron el trasplante de médula ósea al tenor José Carreras.
En unas declaraciones al diario ABC Cardona afirma que “al contrario de lo que piensa mucha gente, técnicamente es posible que el cáncer que terminó con la vida de Hugo Chávez fuera inoculado con la intención de asesinarle” (ABC, 15-3-2013). Si bien los oncólogos clínicos tienen dudas al respecto, Cardona señala que los oncólogos moleculares llevan 200 años inoculando cánceres en animales en el laboratorio para experimentar. “Yo lo he hecho miles de veces y sé que es posible. Tan solo hace falta una inyección puesta en cualquier parte del cuerpo cuyo contenido llegue a la sangre”, afirma. Una de las formas -señala- sería “inyectar líneas celulares de un tumor que conoces previamente, incluso de pacientes que murieron hace 50 años; a través de un oncovirus, es decir, un virus que tú has preparado y que lleva los genes de tumores supresores que se introducen en las células y producen el cáncer, o inyectando directamente carcinógenos químicos”.
Si Chávez, por ejemplo, hubiera ido al dentista –continúa–, éste podría haberle puesto una anestesia y después inocularle un oncovirus o un carcinógeno. El paciente no se va a enterar y al cabo de varios meses puede desarrollar el cáncer. Hay carcinógenos químicos que son específicos de un órgano y otros generalizados que provocan cáncer de manera discriminada. Los hay, por ejemplo, que pueden provocan el cáncer en la zona pélvica, que es donde se le ha aparecido a Chávez. La mayoría de estas cosas dejan huella y, si eres investigador, pueden encontrarla pidiendo una muestra del tumor. Puedes ver si ha sido un oncovirus, si hay alguna línea celular, también puedes hacer estudios genéticos para ver si el cáncer se ha desarrollado de manera natural o atípica… Es complicado, pero se puede averiguar”.
Es verdad que el diario ABC ha publicado numerosas especulaciones absurdas sobre la enfermedad de Chávez, pero todas ellas las difundía sin una fuente identificada y rigurosa. En esta ocasión se trata del testimonio de un especialista reputado en el estudio del cáncer. La realidad es que para que la tesis de un envenenamiento por cáncer sea sólida harían falta dos condiciones: que técnicamente sea viable y que exista un poder enemigo de Chávez con la necesaria capacidad tecnológica, vocación criminal y falta de escrúpulos para hacerlo. Las declaraciones del doctor Carlos Cardona responden positivamente a lo primero. Para lo segundo basta recordar las más de seiscientas veces que el mayor enemigo de Chávez, Estados Unidos, ha querido asesinar a Fidel Castro (ver libro del periodista Luis Báez El mérito es estar vivo) y la realidad cotidiana de que todas las semanas asesina a decenas de inocentes mediante drones.


giovedì 28 marzo 2013

Maduro allerta contro azione destabilizzante dell’opposizione venezuelana /L'Ecuador ignorerà le misure cautelari imposte dalla CIDH


Maduro allerta contro azione destabilizzante dell’opposizione venezuelana


Caracas, 27 mar (Prensa Latina) Il candidato alla presidenza venezuelana per il Gran Polo Patriottico, Nicolas Maduro, ha messo in allerta oggi i suoi seguaci sui tentativi dell'opposizione di portare lo scenario politico nazionale ad una situazione di violenza. 
 
Intervenendo davanti a migliaia di sostenitori a Maturin, nello stato Monagas, il presidente incaricato della Repubblica ha indicato che i rappresentanti della destra stanno scommettendo sulla campagna dell'odio. 
 
L'oligarchia vuole che il processo elettorale finisca nella violenza, o lo stesso giorno del suffragio od in seguito, davanti ad una realtà che segna la loro sconfitta nei comizi, ha aggiunto. 
 
Per ciò, ha detto Maduro, lanciamo un appello agli elettori dell'opposizione affinché evitino di essere manipolati da coloro che vogliono portare il paese verso un cammino di violenza e di sconfitta. 
 
Settori dell'opposizione hanno scommesso su uno scenario dove il paese arrivi ad un limite che superi la pazienza e si lanci sulle strade, per utilizzare il pretesto di una situazione estrema, ha segnalato. 
 
Unito a ciò, questo processo elettorale colloca davanti a noi l'opzione di scegliere tra due modelli, uno di loro quello della patria e Chavez, di fronte a quello dell'imperialismo e del nulla, ha aggiunto. 
 
In questo contesto, Maduro ha confermato il compromesso di dare continuità al piano della patria 2013-2019 -progettato dal Comandante Hugo Chavez - per trasformare il Venezuela in una potenza socialista, democratica, umanista e cristiana. 
 
Quando solo mancano 18 giorni alla data della votazione, il candidato socialista ha avvertito degli sforzi per avvelenare la mente della gente nobile ed ha fatto notare che votare per la borghesia è farlo contro gli interessi della patria. 
 
Maduro ha assistito questo mercoledì al giuramento di più di sei mila integranti delle Unità di Battaglia Hugo Chavez nell'entità, incaricate di approfondire il lavoro elettorale dei prossimi comizi. 
 
Ig/mem

L'Ecuador ignorerà le misure cautelari imposte dalla CIDH


Quito, 27 mar (Prensa Latina) Il presidente ecuadoriano, Rafael Correa ha annunciato che
questa nazione non riconoscerà misure cautelari imposte dalla Commissione Interamericana dei diritti umani (CIDH), per considerarla senza autorità per farlo. 
 
“Ignoreremo queste misure imposte dalla CIDH, perché sono illegali”, ha condannato il mandatario. 
 
Ha osservato che la Corte Interamericana dei diritti umani che è l'organo giudiziale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) sì ha il diritto di farlo, secondo quanto stabilito dalla lettera di questa entità regionale. 
 
La CIDH ed i suoi differenti relatori dovrebbero promuovere i diritti umani in America Latina, ha commentato. 
 
In un incontro con i mezzi di stampa della città di Guayaquil, Correa ha messo in chiaro che l'Ecuador non è contro le misure cautelari, ma sì esige che si facciano in forma legale e non per attribuzioni della CIDH che non ha questa facoltà. È un abuso ed un'illegalità, ha affermato. 
 
Sull'ultima riunione straordinaria dell'OSA, celebrata a Washington, negli Stati Uniti, Correa ha sottolineato che è il punto di partenza, perché è già storico che si discutano le proposte fatte dall'Ecuador. 
 
“Perché dobbiamo mantenere la sede della CIDH a Washington se questa nazione non è parte di questa commissione, né ha firmato nessun strumento sui diritti umani?”, si è interrogato. 
 
Ha insistito sul fatto che non può essere che la sede sia in un paese che non ha firmato la Convenzione o tutti gli strumenti; inoltre, ha reclamato che “o cambino la sede ad uno Stato parte o firmino tutti i trattati di protezione dei diritti umani negli USA”. 
 
Ha qualificato come “neocolonialismo il fatto che gli Stati Uniti che non riconoscano la CIDH, siano i suoi finanziatori e paghino per controllare il resto dei paesi”, ha esclamato. 
 
“È insostenibile che il giudizio di un giornalista vada alla Commissione”, ha affermato, “mentre dove sta il bloqueo contro Cuba, che è il maggiore attentato ai diritti umani del continente?”. 
 
E poi si è interrogato “dove sta il pronunciamento della CIDH per il colonialismo contro le Isole Malvine, che sono argentine?”. 
 
“Queste organizzazioni sono quelle che devono fare rispettare sempre i diritti umani e non farlo selettivamente”, ha concluso Correa. 
 
Ig/nda

Prensa latina 
foto tratte da internet inserite da autore blog

lunedì 25 marzo 2013

Un papa nel cortile di casa / Un papa en el patio trasero

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 Un papa nel cortile di casa

Raúl Zibechi * |
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/03/2013

La gerarchia del Vaticano ha messo gli occhi sul Sud America, continente in cui ha combattuto fino alla morte (letteralmente) i teologi della liberazione. Allineata coi potenti, cosa che non le impedisce di strizzare l'occhio populista ai poveri, sta per prendere posizione di fronte all'integrazione regionale e ai governi progressisti.

"La cosa peggiore che potrebbe accadere in Sud America, sarebbe l'elezione di un papa di qui", scriveva il giornalista Martín Granovsky nelle ore prima che i cardinali ungessero Jorge Bergoglio per occupare la poltrona di Pietro. Nella misura i cui i progressisti sono stati esclusi dalle gerarchie ecclesiastiche, se il nuovo pontefice fosse sudamericano, osservava il giornalista, non sarebbe "uno stimolo per i cambiamenti che si producono nei due grandi paesi del Sud America dal 2003", Pagina 12, 13 marzo 2013).

Poche cose sono più terrene del governo della chiesa cattolica. Molte pagine si sono scritte sulle strette relazioni del Vaticano col fascismo e nazismo, col regime di Francisco Franco, sui suoi milionari investimenti in torbidi commerci, per non dire mafiosi, del legame di alcuni dei suoi più alti gerarchi con la Loggia P2 e del co-governo de facto che esercitarono con l'ultima dittatura militare argentina.

Esiste una geopolitica vaticana che non è stata enunciata, che non conta su encicliche per essere avvallata, ma che può inserirsi per la sua attuazione, in alcuni momenti decisivi della storia. Nel senso che esistono dati sufficienti che confermano l'intervento vaticano nella stessa direzione in cui vanno i potenti del mondo. L'elezione di Bergoglio è un anelito di intervento nei temi terreni dei sudamericani, affinché il cortile di casa continui ad essere sotto la sfera di influenza di Washington e contro l'integrazione del continente.

Non mancano precedenti: negli anni '50 l'atteggiamento del Vaticano verso il regime di Franco coincise, esattamente, con l'apertura di Washington verso il dittatore; negli anni '80, gli interessi della superpotenza in una America Centrale scossa da guerre interne, furono accompagnati e ritmati dalla diplomazia vaticana, con notevole sincronia.

Pio XII, l'anticomunista.

È ormai luogo comune ricordare la professione di fede democratica del Vaticano quando agonizzava il regime fascista di Benito Mussolini, al quale Pio XI aveva dato la sua benedizione, incoraggiando i cattolici italiani a votarlo nel 1929, segnalando che era "un uomo inviatoci dalla Provvidenza". Il suo successore, Pio XII, il papa della guerra fredda, approfondì l'anticomunismo e difese la scomunica dei cattolici che votavano per i comunisti.

La cosa più notevole di quel periodo è la profonda virata del Vaticano verso la potenza egemonica nata con la fine dalla seconda guerra mondiale. Virata e convergenza che hanno nell'anno 1953 un nodo più che simbolico.

Il trionfo di Franco nella guerra civile spagnola, con l'appoggio delle forze armate di Mussolini e di Adolf Hitler, provocò un acuto isolamento della Spagna dopo la sconfitta dell'Asse nel 1945. Il dopoguerra spagnolo fu particolarmente penoso per la sua popolazione poiché quell'isolamento la lasciò fuori dal Piano Marshall, col quale gli Stati Uniti lubrificarono, con migliaia di milioni di dollari, il recupero della devastata Europa.

Ma la penisola iberica è uno spazio geopolitico decisivo per il controllo del Mediterraneo e del nord dell'Africa, poiché lo Stretto di Gibilterra è la porta di entrata a due continenti.

Il crollo delle potenze coloniali in Asia e in Africa che fece da detonatore per la guerra dell'Algeria del 1954, sommata alla tradizionale indipendenza della Francia sotto l'influenza di Charles de Gaulle, fece prendere le distanze dalla politica militare degli Stati Uniti, portando Washington a cercare legami più stretti con la dittatura di Franco.

Nel 1953 si firmarono accordi ispano-statunitensi che progettarono un'alleanza militare che si realizzò nell'installazione di tre basi militari a Rota, Moron e Torrejon de Ardoz. Nel 1955 la Spagna entrò nelle Nazioni Unite e nel 1959 il presidente Dwight Eisenhower fece visita a Franco per rafforzare le relazioni. In cambio, la Spagna ricevette aiuto economico e l'appoggio per uscire dal suo isolamento internazionale.

Nello stesso anno 1953, il Vaticano mise il suo granello di sabbia per aiutare il regime a superare il suo isolamento. Pio XII firmò un concordato con Franco che dava base giuridica al cosiddetto nazional-cattolicesimo, l'ideologia del regime peninsulare che in realtà lo legittimava davanti ai cattolici del mondo. Questa convergenza di azioni tra la massima autorità cattolica e la nuova egemonia globale, sarà moneta corrente negli anni seguenti, in modo particolare in America Latina.

Giovanni Paolo II, la guerra contro il sandinismo

Nel 1983 Giovanni Paolo II realizzò un viaggio in America Centrale, quando nella regione aumentavano le guerre ad alta intensità tra regimi dittatoriali alleati di Washington e le forze sociali e politiche di sinistra. In Guatemala il regime di Efraín Ríos Montt perpetrò in quegli stessi anni un gigantesco genocidio contro la popolazione indigena e in Salvador gli squadroni della morte dell'ultradestra assassinavano chi si opponeva, tra loro l'arcivescovo di San Salvador Mons. Oscar Arnulfo Romero. In Nicaragua governava il sandinismo dal trionfo della rivoluzione nel 1979, duramente osteggiato dagli Stati Uniti che finanziavano bande terroristiche, conosciute come contras, (contrazione della parola contrarrevolucionarios, ndt) per destabilizzare il governo.

In Guatemala il papa si incontrò col dittatore genocida che poche ore prima del suo arrivo aveva fatto fucilare cinque guatemaltechi e un honduregno. In Salvador si incontra anche coi governanti, benché andasse a pregare sulla tomba di Romero. Tuttavia, le sue parole più dure non furono dirette agli assassini, bensì ai sacerdoti della teologia della liberazione. "Non vale la pena dare la vita per un'ideologia, per un vangelo mutilato, per un'opzione parziale", disse in chiara allusione ad alcuni sacerdoti che si erano arruolati nell'opposizione.

In tutte le sue visite, andò anche in Honduras e Costa Rica tra gli altri paesi, parlò a beneficio della pace. Meno in Nicaragua. Il paese era scosso dalla prima azione importante dei contras che assassinarono 17 giovani. Al contrario, l'immagine di papa Giovanni Paolo II che rimprovera Ernesto Cardenal per essere ministro del governo sandinista, inginocchiato di fronte a sua santità in segno di rispetto, fece il giro del mondo ed è impresso nell'immaginario di molti cristiani latinoamericani.

Ernesto Cardenal considerò che "quello che meno vuole (Giovanni Paolo II) è una rivoluzione massicciamente appoggiata dai cristiani come la nostra, in un paese cristiano e pertanto una rivoluzione molto popolare. E la cosa peggiore di tutto per lui, è che sia una rivoluzione con i sacerdoti".

La messa campale fu un disastro. Il papa si permise di criticare apertamente il sandinismo e chi lo ascoltava, si stima che ci fossero mezzo milione di persone, finì col fischiarlo. "Il popolo mancò di rispetto al Papa, è vero, ma il fatto è che prima il Papa aveva mancato di rispetto al popolo", scrisse Cardenal dopo aver sottolineato il rifiuto di condannare i crimini dei contras.

In America Centrale tornarono a coincidere le strategie del Pentagono e del Vaticano, punto per punto, luogo per luogo. Menzione speciale merita la convergenza di interessi contro il clero progressista e di sinistra. Il Documento di Santa Fe I , emesso nel maggio 1980 da un think tank di estrema destra diretto ad influenzare la presidenza di Ronald Reagan, ha tra le sue principali proposte quella di attaccare la teologia della liberazione: "La politica estera degli Stati Uniti deve cominciare ad affrontare e non semplicemente a reagire a posteriori, alla teologia della liberazione."

Geopolitica continentale

L'elezione di un papa latinoamericano può essere interpretata, da un punto di vista geopolitico, come riflesso dell'ascesa delle potenze emergenti e del consolidamento degli obiettivi dell'America Latina nel mondo. Tuttavia, il nuovo pontificato tende a rinforzare la politica degli Stati Uniti nel continente e sembra destinato a collocare un bastone fra le ruote dell'integrazione regionale e ad isolare così Brasile e Venezuela.

Quello che è in gioco nel continente, quello che segnerà il suo futuro, non è il destino dei curati pederasti, né la permanente diminuzione della quantità di cattolici, né il matrimonio tra omosessuali, né l'aborto, bensì l'affermazione del Sud America come un polo di potere in un mondo sempre più caotico. Questo passa, inevitabilmente, da un'integrazione orientata verso il Brasile in base a due alleanze strategiche decisive con Argentina e Venezuela.

Il capitale transnazionale fece tempo fa la sua scommessa per la destabilizzazione dell'Argentina, obiettivo condiviso dalla Casa Bianca. In questo caso non si tratta del petrolio come succede col Venezuela, bensì di una lettura corretta da parte del potere statunitense degli obiettivi tracciati dal Brasile per l'integrazione regionale. Il punto nevralgico, come segnala il diplomatico Samuel Pinheiro Guimaraes nel suo libro "Sfide brasiliane nell'era dei giganti", è l'alleanza tra i due principali paesi della regione, perché insieme hanno la capacità di trascinare tutto il resto e di neutralizzare le ingerenze esterne.

Questo punto l'ha compreso il presidente José Mujica che ha fatto sforzi per allineare l'Uruguay nell'alleanza che oggi incarna il Mercosur. L'ha capito anche la destra argentina che segue l'eco delle campane e prevede che gli obiettivi di Bergoglio nella regione saranno simili a quelli di Giovanni Paolo II con la caduta del comunismo. "L'impatto che ha per un paese il fatto che un concittadino sia scelto sommo pontefice non chiede dimostrazione. Basta ricordare quello che significò l'incoronazione di Karol Wojtyla per la Polonia e, in generale, per il socialismo reale. Uno tsunami", scrisse su La Nación l'editorialista Carlos Pagni, un estremista di destra che fu accusato dalla Delegazione Argentina delle Associazioni Israelite (DAIA) di rappresentare "una chiara espressione antisemita associabile alla peggiore tradizione dei nazismi" a causa di un articolo nel quale alludeva alla discendenza ebrea di un alto funzionario governativo.

Il nuovo papa è nelle condizioni di dare alla destra argentina la legittimità popolare ed istituzionale che non ha mai avuto, in un momento decisivo per il continente, quando l'ultima scommessa di Washington per recuperare protagonismo, l'Alleanza del Pacifico, naufraga senza rotta. Il suo pontificato non inciderà solo sul suo paese natale; aspira ad avere influenza su tutto il continente. Uno dei primi viaggi di Francesco I sarà in Brasile in luglio, ma può trasformarsi in un tour continentale. E' il momento di valutare la strategia del Vaticano in questo periodo di transizione egemonica.

    Raúl Zibechi, giornalista uruguaiano, scrive in Brecha e La Jornada ed è collaboratore di ALAI.

    www.resistenze.org

    Versione espanol :


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mercoledì 20 marzo 2013

Papa Francesco I :"«Per molti argentini è stato complice»

 
«Per molti argentini è stato complice»


Delle centinaia di chiamate ed email che ho ricevuto, ne scelgo una sola. «Non riesco a crederci. Sono così angustiata e carica di rabbia che non so che cosa fare. Ha ottenuto ciò che voleva. Mi sembra di vedere Orlando nel salotto di casa nostra, qualche anno fa, che diceva: ‘Lui vuole essere Papa’. È la persona più adatta a nascondere il marcio. Lui è un esperto in insabbiamenti. Il mio telefono non smette di suonare, Fito mi ha chiamato in lacrime». La firma è quella di Graciela Yorio, sorella del sacerdote Orlando Yorio, che denunciò Bergoglio come responsabile del suo sequestro e delle torture che ha subito per 5 mesi nell’anno 1976. Il Fito di cui parla. e che l’ha chiamata sconsolato, è Adolfo Yorio, suo fratello.
Entrambi hanno dedicato buona parte della loro vita a portare avanti le denunce fatte da Orlando, un teologo e sacerdote terzomondista, morto nel 2000 con l’incubo che ieri è divenuto realtà. Tre anni prima, il suo mostro era stato eletto arcivescovo di Buenos Aires, un avvenimento che preannunciava il resto.
Orlando Yorio non ha mai avuto modo di sentire la deposizione di Bergoglio davanti al Tribunale Orale Federale n. 5. Quella fu la prima volta in cui riconobbe che, dopo la fine della dittatura, seppe che i militari rapivano i bambini. Tuttavia, il Tribunale Orale Federale n. 6, in cui si è svolto il processo per il programma sistematico di sequestro dei figli dei prigionieri-desaparecidos, ha ricevuto documenti in cui si indica che già nell’anno 1979 Bergoglio era perfettamente al corrente della situazione, non solo, ma che addirittura intervenne personalmente, eseguendo un ordine del suo superiore generale, Pedro Arrupe.
Dopo aver ascoltato il racconto dei familiari di Elena de la Cuadra, sequestrata nel 1977, quando si trovava al quinto mese di gravidanza, Bergoglio consegnò loro una lettera per il vescovo ausiliare di La Plata, Mario Picchi, chiedendogli di intercedere davanti al governo militare. Picchi riuscì a scoprire che Elena aveva messo al mondo una bambina, poi regalata a un’altra famiglia.
«Ce l’ha una coppia per bene e non c’è modo di tornare indietro», disse alla famiglia. Dichiarando per iscritto nella causa dell’Esma (la Scuola di Meccanica della Marina), per il sequestro di Yorio e di Franscisco Jalics, che era gesuita come lui, Bergoglio disse che nell’archivio episcopale non c’erano documenti sui desaparecidos.
Tuttavia, il suo successore e attuale presidente della Conferenza episcopale, Josè Arancedo, inviò alla giudice Martina Forns una copia del documento che io stesso ho pubblicato, sulla riunione avvenuta tra il dittatore Videla e i vescovi Raul Primatesta, Juan Aramburu y Vicente Zazpe, in cui parlarono in modo straordinariamente franco del fatto che fosse conveniente o no dire che i desaparecidos erano stati uccisi, perché Videla voleva proteggere chi li aveva assassinati.
Nel suo libro ormai divenuto un classico, Iglesia y dictadura (Chiesa e dittatura), Emilio Miglione citò l’episodio come un paradigma di «pastori che consegnano le loro pecore al nemico, senza difenderle o tentare di recuperarle». Bergoglio mi ha raccontato che, in una delle sue prime messe come arcivescovo, riconobbe Mignone e tentò di raggiungerlo per dargli delle spiegazioni, ma che il presidente e fondatore del Cels alzò la mano facendogli segno di non avvicinarsi.
Non sono sicuro che Bergoglio sia stato eletto per nascondere il marcio che ha ridotto all’impotenza Joseph Ratzinger. Le lotte interne alla curia romana seguono una logica cosi imperscrutabile che i fatti più oscuri possono essere attribuiti allo spirito santo, sia che si tratti delle gestioni finanziarie per cui la Banca Vaticana è stata espulsa dal clearing internazionale, visto che non rispetta le regole anti-riciclaggio di denaro sporco, o le pratiche di pedofilia, in quasi tutti i paesi del mondo, che Ratzinger ha insabbiato attraverso il Santo Uffizio e per le quali ha chiesto perdono come Papa. Nemmeno mi sorprenderebbe che, con il pennello in mano e con le scarpe rotte, Bergoglio iniziasse una crociata moralizzante per imbiancare i sepolcri apostolici.
Quello di cui invece sono sicuro è che il nuovo vescovo di Roma sarà un ersatz, una parola tedesca che è impossibile tradurre e che significa un surrogato di qualità minore, come l’acqua mescolata con la farina che le madri povere usano per ingannare la fame dei loro figli. Il teologo della liberazione brasiliano, Leonardo Boff, allontanato da Ratzinger dall’insegnamento e dal sacerdozio, aveva il sogno che a essere eletto Papa fosse il francescano di origine irlandese Sean O’Malley, responsabile della diocesi di Boston, arrivata al fallimento per i tanti indennizzi che ha pagato ai bambini vessati dai suoi sacerdoti.
«È una persona molto legata ai poveri, perché ha lavorato a lungo in America Latina e ai Caraibi, sempre in mezzo agli indigenti. Questo significa che potrebbe essere un papa diverso, un papa che inizi una nuova tradizione», ha scritto l’ex sacerdote. Sul Trono Apostolico non siederà un vero francescano, ma un gesuita che si farà chiamare Francesco, come il poverello di Assisi. Un’amica argentina mi scrive turbata da Berlino, perché secondo i tedeschi, che non conosco il suo passato, il nuovo papa è un terzomondista. Che grande confusione.
La sua biografia è quella di un populista conservatore, come lo sono stati Pio XII e Giovanni Paolo II: inflessibili su questioni dottrinali, ma con una certa apertura nei confronti del mondo, soprattutto, verso le masse povere. Quando recita la prima messa in una via di Trastevere o nella stazione Termini a Roma e parla di persone sfruttate e prostituite dagli insensibili potenti che chiudono il loro cuore a Cristo; quando i giornalisti amici raccontano che ha viaggiato in metropolitana o in autobus; quando i fedeli sentono le sue omelie recitate coi gesti di un attore, dove le parabole bibliche coesistono con il parlar franco del popolo, ci sarà chi delirerà per il tanto desiderato rinnovamento della Chiesa. Nei tre lustri che ha trascorso alla testa dell’Arcidiocesi di Buenos Aires ha fatto questo e altro. Ma al tempo stesso ha tentato di unire l’opposizione contro il primo governo che, dopo molti anni, ha adottato una politica favorevole ai settori meno abbienti. Addirittura lo ha accusato di essere aggressivo e di cercare provocazioni, perché per farlo è dovuto scendere a patti con quei potenti attaccati nel discorso.
Adesso potrà farlo su scala più grande, ma non significa che si dimenticherà dell’Argentina. Se Pacelli ricevette il finanziamento dell’Intelligence Usa per sostenere la Democrazia Cristiana e impedire la vittoria comunista nelle prime elezioni del Dopoguerra e se Wojtyla è stato l’ariete capace di aprire il primo buco nel muro europeo, allora il Papa argentino potrà svolgere lo stesso ruolo su scala latinoamericana. La sua passata militanza nella Guardia de Hierro, il discorso populista che non ha dimenticato e con cui addirittura ha abbracciato cause storiche come quella delle Malvinas, gli permetteranno di imporre la direzione a questo processo, per apostrofare gli sfruttatori e predicare la bontà degli sfruttati.
*Per gentile concessione del quotidiano argentino «Pagina12». L’autore, Horacio Verbitsky, è giornalista, scrittore e intellettuale, responsabile della sezione americana di Human Rights Watch. Nel 2005 ha scritto «L’isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina», nel quale ha raccolto le testimonianze di sopravvissuti e parenti dei desaparecidos. Nel 1995 aveva già pubblicato «Il Volo – Le rivelazioni di un militare pentito sulla fine dei desaparecidos».

foto  da internet inserite da autore blog
dal Manifesto di Horacio Verbitsky 

domenica 17 marzo 2013

CHAVEZ : L'ADDIO POPOLARE


L’ADDIO POPOLARE

Ieri l’ultimo saluto. Pronti al voto

Ultimo viaggio per Hugo Chávez. La bara del leader socialista, morto il 5 marzo, è stata trasferita dall’Accademia militare – dov’è stata visitata da migliaia di persone per 9 giorni – al Cuartel del la Montaña, nel quartiere 23 Enero. Vi rimarrà finché non sarà trasportata nel Pantheon nazionale, dove riposano i resti del «libertador» Simón Bolívar.

Dopo la cerimonia alla presenza delle massime autorità di governo, famigliari, leader e delegazioni internazionali, il corteo è passato tra due ali di folla. Le organizzazioni dello storico quartiere popolare hanno formato una catena umana al passaggio.

La piazza 13 aprile – che ricorda la resistenza del quartiere al colpo di stato del 12-13 aprile 2002 – era gremita di collettivi operai, medici di quartiere, studenti, militanti, scouts bolivariani indipendenti, «luchadores sociales». Tutti con slogan per la prossima campagna elettorale.

L’appuntamento è al 14 aprile, quando il candidato 
 socialista, Nicolas Maduro, sfiderà Henrique Capriles Radonski, il leader di opposizione che corre per la Mesa de la unidad democratica (Mud).Gli aerei hanno solcato il cielo in omaggio al «comandante supremo» accompagnati da «Patria querida», cantata da Chávez quando si accommiatò dal paese, l’8 dicembre.


martedì 12 marzo 2013

Con Chávez y Maduro el pueblo está seguro.

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Con Chávez y Maduro el pueblo está seguro.


Come era da attendersi la destra venezuelana torna all’attacco con l’appoggio del Dipartimento di Stato. Finita la tregua durata il tempo dei funerali del Presidente Chávez, Washington ha espulso due diplomatici venezuelani come ritorsione all’espulsione da parte del Venezuela di due addetti miltari statunitensi accusati di ingerenza negli affari interni.
Sul versante interno, Henrique Capriles, candidato di Washington e della cosiddetta Mesa de Unidad Democratica che riunisce i litigiosi partiti dell’opposizione, ha usato i violenti toni di sempre per annunciare la sua nuova candidatura alle elezioni del prossimo 14 aprile. Capriles era stato sconfitto ampliamente lo scorso 7 Ottobre, quando Hugo Chávez aveva vinto con più di 8 milioni di voti, (55,07%) contro il 44,31% ottenuto da Capriles. E a Dicembre la destra era stata nuovamente battuta nelle elezioni regionali dove i candidati bolivariani avevano vinto in 20 delle 23 regioni che formano il Paese, mettendo a segno l’ennesima vittoria elettorale.
In Aprile Henrique Capriles dovrà affrontare la sfida con Nicolàs Maduro, il nuovo Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, votato dal Parlamento in base alla Costituzione. Quella stessa Carta Magna che la destra ha sempre disconosciuto e mai rispettato.
In una conferenza stampa, Capriles ha ripreso i toni abituali di arroganza e di violenza verbale verso il governo, acusando il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) ed Tribunale Supremo di Giustizia di aver violato la Costituzione accreditando la nomina presidenziale di Maduro. A corto di argomenti, con tono teatrale e macabro, ha rilanciato i dubbi sulle modalità della morte di Chávez, accusando Maduro di aver mentito al Paese ed al mondo. Nei giorni scorsi, infatti, il quotidiano franchista e monarchico spagnolo ABC, aveva citato “fonti militari venezuelane”, naturalmente anonime, per raccontare che Chávez sarebbe morto a Cuba, in un orario diverso da quello ufficale, poi trasportato di nascosto e la bara del funerale all’inizio sarebbe stata vuota per poi essere sostituita con la vera. E molta della stampa italiana aveva dato risalto all’articolo, dal Corriere a Repubblica, da Il Fatto alla stessa Rai 3.
Una strategia che punta a seminare dubbi, vista la difficoltà dell’opposizione venezuelana, di fronte ai milioni di persone che hanno assistito ai funerali, insieme a decine di Capi di Stato di diverso orientamento politico e a delegazioni internazionali da tutto il mondo.
Ieri Maduro ha presentato la sua candidatura ufficiale al CNE, accompagnato da migliaia di sostenitori, come è prassi ormai consolidata a Caracas, insieme a 12 organizzazioni politiche che lo appoggiano. Nella cerimonia ufficiale risuonavano gli slogan della piazza: “Con Chávez y Maduro el pueblo está seguro”, "Chávez te lo juro, mi voto es con Maduro". Il bolivariano è arrivato alla guida di un bus. Una scelta non casuale, per ricordare ai venezuelani le sue origini umili, di autista appunto. Un lavoro che Maduro ha svolto per anni e che nel passato lo aveva portato ad essere rappresentante sindacale del settore.
Nei giorni scorsi, durante il Congresso del Partito Comunista del Venezuela che per primo ha annunciato il suo appoggio, il candidato bolivariano aveva annunciato la presentazione come programma di governo del “Plan de la Patria”, elaborato dallo stesso Chávez con il suo esecutivo pochi mesi fa.
“Sarò presidente e comandante in capo delle Forze Armate Nazionali Bolivariane, perchè me lo ha ordinato Chávez. Obbedirò i suoi ordini, ma ho bisogno dell’appoggio del popolo, delle forze rivoluzionarie e della gente nobile di questo paese”.
Maduro ha poi chiarito che si sente come un figlio del dirigente rivoluzionario. “Io non sono Chávez; parlo della sua intelligenza, del suo carisma, della sua forza spirituale e della capacità di direzione del Comandante. Una cosa è essere chavista, ed un’altra è che qualcuno possa aspettarsi da Nicolás Maduro che sia Chávez. Sono solo uno dei suoi figli chavisti”, ha poi proseguito, ricordando che “le prossime elezioni sono un impegno costituzionale” dovuto alla “mancanza assoluta” del Presidente Hugo Chávez.

Sembra davvero improbabile che l’opposizione riesca a vincere le prossime elezioni di Aprile. Anche se nel passato lo stesso Capriles in qualità di governatore dello Stato di Miranda era riuscito a vincere ben due candidati bolivariani (prima Diosdado Cabello, oggi Presidente del parlamento e poi Elias Jaua, l’attuale Ministro degli Esteri). Ma nelle ultime presidenziali ha subito una pesante sconfitta e non gioca certo a suo favore l’onda emotiva per la scomparsa di un Presidente molto popolare nel Paese latinoamericano. Henrique Capriles, dopo essere stato recentemente a Miami e a Bogotà per incontrarsi tra gli altri con gli oppositori al governo bolivariano ed i golpisti lì rifugiati, tenta la sua ultima carta elettorale sperando in una rimonta tutta in salita.
Marco Consolo
LIBERAZIONE.IT ON LINE


sabato 9 marzo 2013

Chávez: Del "por ahora" al "Hasta siempre"


Chávez: Del "por ahora" al "Hasta siempre"
Iroel Sánchez

En octubre de 1965, el trovador cubano Carlos Puebla, escribió su célebre guajira dedicada al Comandante Che Guevara -con el nombre de “Hasta siempre, Comandante”- inmediatamente después de escuchar, en voz de Fidel, la carta de despedida del héroe argentino-cubano que terminaría sus días asesinado en Bolivia por orden de la CIA.
Su título, inspirado en las palabras de despedida de esa carta, “Hasta la victoria siempre”, ha devenido desde entonces cita obligada en discursos revolucionarios en todo el mundo y ha vuelto a resonar por estos días alrededor de los homenajes tributados al Presidente de Venezuela, Comandante Hugo Chávez. El uso de esa frase nos conmueve a muchos que nos identificamos con las ideas y la obra de Chávez, el Che y Fidel y no debería pasar inadvertido para sus detractores.
Como hicieron y hacen con Fidel y el Che, los enemigos del líder bolivariano tratarán de enlodar su memoria y encubrir su legado pero sólo conseguirán lo contrario. Difícil tarea tendrán quienes deseen volver a subordinar al pueblo venezolano a la clase política que Hugo Chávez mantuvo fuera del poder durante catorce años. Sólo conseguirán engrandecerlo.
Si en el mandato de Chávez la tasa de pobreza pasó de un 42,8% en 1999 a un 26,5% en 2011 y la extrema pobreza de un 16,6% a un 7% en igual período; si la mortalidad infantil disminuyó a la mitad entre los mismos años, desapareció el analfabetismo y los servicios de salud, educación y vivienda se proclamaron como un derecho; ¿cómo van a lograr sus enemigos convencer a los pobres de que vuelvan a serlo, a los que dejaron de ser analfabetos de que se comporten como si continuaran siéndolo, y a quienes veían morir a sus hijos sin atención médica de que es ése su destino?
Cuando el golpe de estado contra Chávez en 2002 fueron ellos los que insurreccionaron y lo volvieron a colocar en el cargo para el que lo eligieron sucesivamente, ignorando los consejos de doctos analistas promocionados por los más poderosos medios de comunicación. Han sido también los representantes de las clases más humildes en América y el mundo los que más se han dolido con la muerte del fundador del ALBA, Petrocaribe y la CELAC, del impulsor de UNASUR. Habría que preguntarse cómo hará Estados Unidos -principal obstaculizador histórico de la integración latinoamericana- para volver todo eso a la situación anterior.
La legitimidad de los sucesores de Chávez, como acaban de demostrar los discursos de Nicolás Maduro, radica precisamente en su expresa voluntad de sostener y desarrollar todo lo que su líder inició. Ni en Venezuela ni en América, hay espacio político hoy entre las mayorías para triunfar en sentido contrario al legado que él ha dejado.
Si en 1992, al alzarse en armas contra el neoliberalismo que masacró a los humildes de su patria y ser apresado, el entonces coronel de paracaidistas dijo aquel “por ahora” que le abrió el corazón de su pueblo, ahora son cientos de millones de personas en todo el planeta los que dicen “Hasta siempre” al Comandante que demostró que otro mundo no sólo es posible sino imprescindible y, como el Che y Fidel, se puso a construirlo. (Publicado en CubAhora)
En octubre de 1965, el trovador cubano Carlos Puebla, escribió su célebre guajira dedicada al Comandante Che Guevara -con el nombre de “Hasta siempre, Comandante”- inmediatamente después de escuchar, en voz de Fidel, la carta de despedida del héroe argentino-cubano que terminaría sus días asesinado en Bolivia por orden de la CIA.
Su título, inspirado en las palabras de despedida de esa carta, “Hasta la victoria siempre”, ha devenido desde entonces cita obligada en discursos revolucionarios en todo el mundo y ha vuelto a resonar por estos días alrededor de los homenajes tributados al Presidente de Venezuela, Comandante Hugo Chávez. El uso de esa frase nos conmueve a muchos que nos identificamos con las ideas y la obra de Chávez, el Che y Fidel y no debería pasar inadvertido para sus detractores.
Como hicieron y hacen con Fidel y el Che, los enemigos del líder bolivariano tratarán de enlodar su memoria y encubrir su legado pero sólo conseguirán lo contrario. Difícil tarea tendrán quienes deseen volver a subordinar al pueblo venezolano a la clase política que Hugo Chávez mantuvo fuera del poder durante catorce años. Sólo conseguirán engrandecerlo.
Si en el mandato de Chávez la tasa de pobreza pasó de un 42,8% en 1999 a un 26,5% en 2011 y la extrema pobreza de un 16,6% a un 7% en igual período; si la mortalidad infantil disminuyó a la mitad entre los mismos años, desapareció el analfabetismo y los servicios de salud, educación y vivienda se proclamaron como un derecho; ¿cómo van a lograr sus enemigos convencer a los pobres de que vuelvan a serlo, a los que dejaron de ser analfabetos de que se comporten como si continuaran siéndolo, y a quienes veían morir a sus hijos sin atención médica de que es ése su destino?
Cuando el golpe de estado contra Chávez en 2002 fueron ellos los que insurreccionaron y lo volvieron a colocar en el cargo para el que lo eligieron sucesivamente, ignorando los consejos de doctos analistas promocionados por los más poderosos medios de comunicación. Han sido también los representantes de las clases más humildes en América y el mundo los que más se han dolido con la muerte del fundador del ALBA, Petrocaribe y la CELAC, del impulsor de UNASUR. Habría que preguntarse cómo hará Estados Unidos -principal obstaculizador histórico de la integración latinoamericana- para volver todo eso a la situación anterior.
La legitimidad de los sucesores de Chávez, como acaban de demostrar los discursos de Nicolás Maduro, radica precisamente en su expresa voluntad de sostener y desarrollar todo lo que su líder inició. Ni en Venezuela ni en América, hay espacio político hoy entre las mayorías para triunfar en sentido contrario al legado que él ha dejado.
Si en 1992, al alzarse en armas contra el neoliberalismo que masacró a los humildes de su patria y ser apresado, el entonces coronel de paracaidistas dijo aquel “por ahora” que le abrió el corazón de su pueblo, ahora son cientos de millones de personas en todo el planeta los que dicen “Hasta siempre” al Comandante que demostró que otro mundo no sólo es posible sino imprescindible y, como el Che y Fidel, se puso a construirlo. (Publicado en CubAhora)

 Foto inserite da internet a discrezione autore Blog internazionalismo
 

venerdì 8 marzo 2013

8 MARZO, LE ORIGINI DELLA FESTA INTERNAZIONALE DONNA

Il compagno Comandante Hugo Chavez ci ha lasciato e in questo triste 8 marzo 2013 noi comunisti Maremmani lo vogliamo ricordare ,  ringraziandolo per aver sfidato l'arroganza imperialista e iniziato la costruzione dell'altro mondo possibile,un mondo  dove la donna avrà il ruolo e il rispetto che gli spetta nella società.

Viva Chavez !!!!
Viva la rivoluzione Bolivariana  """

8 MARZO, LE ORIGINI DELLA FESTA INTERNAZIONALE  DONNA

Ogni anno in tutto il mondo occidentale si celebra la Giornata internazionale della donna o Festa della Donna , ma non tutti conoscono la storia, specialmente oggi che il capitalismo ha lavorato in maniera capillare tanto da ridurla ad una festa ad esclusivo uso consumista,sterilizzando  la cultura, la storia  e le  tradizioni che accompagnano  questa festività . Il giorno 8 marzo commemora le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne in tutto il mondo e ricorda la grande manifestazione dell'8 marzo 1917 a San Pietroburgo, dove una folla di donne si ritrovò per protestare contro lo zar per aver partecipato alla prima guerra mondiale. Un evento storico a cui fecero eco  altre proteste  che, diedero l'inizio della "Rivoluzione russa di febbraio" mese che verrà  scelto a rappresentare la data della "Giornata internazionale dell'operaia", scelta nata nel 1921 a Mosca dalla seconda conferenza internazionale delle donne comuniste. In Germania, l'8 marzo del 1914, si era  già realizzata  una giornata dedicata alle rivendicazioni femminili promossa dai socialisti tedeschi,  a Parigi in Francia fu tenuta il 9 marzo 1914. In Italia la Giornata internazionale della donna apparve per la prima volta solo nel 1922, per volontà del Partito comunista d'Italia, che però la celebrò il 12 marzo,
 Il  tempo via via fece perdere questa origine di "carattere comunista" mettendo in risalto  come data simbolo della Giornata altri avvenimenti, come un tragico episodio accaduto nel 1857 a New York (ma non è sicuro se accadde proprio l'8 marzo) quando delle operaie, per la prima volta, protestarono contro le basse paghe e le cattive condizioni di lavoro. La protesta sembra che terminò con cariche della polizia e nel marzo di due anni dopo le stesse operaie si riunirono in un sindacato organizzato.
Dunque i primi scioperi operai e le violente repressioni divennero il simbolo delle lotte delle nascenti organizzazioni di emancipazione femminile a cavallo tra i due secoli. L' avvento di una giornata che sostenesse i diritti delle donne si concretizzò  nel 1909  quando le donne socialiste di Chicago presero la decisione di tenere ogni ultima domenica di febbraio il "Woman's Day", sull'ali dell'entusiasmo per il successo dello sciopero di oltre 20mila lavoratrici tessili  newyorkesi , uno sciopero  era  iniziato a novembre 1908 ed  era terminato pochi giorni prima. Successivamente l'internazionale delle donne socialiste decise di tenere la prima giornata della donna il 19 marzo 1911 e questo accadde in diversi paesi europei, Germania, Austria, Svizzera e Danimarca. La data scelta rievocava il 19 marzo 1848 quando una rivoluzione obbligò il re di Prussia a cedere per la prima volta alle richieste del popolo, tra cui la promessa del riconoscimento del diritto di voto alle donne. In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo 1911, data in cui cadeva il quarantesimo anniversario della Comune di Parigi. La Giornata in Russia fece la sua apparizione a San Pietroburgo il 3 marzo 1913. Quindi vennero le già citate manifestazioni del marzo 1914 in Germania e Francia. Inoltre nel 1911, il 25 marzo, (e non l'8 marzo come viene spesso frainteso confondendo l'episodio con lo sciopero del 1857), a New York, 146 operaie della aziende tessile "Triangle Shirtwaist Company", sottopagate e sfruttate, scesero in sciopero, come risposta  i proprietari fecero bloccare le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire. Nella fabbrica scoppiò un incendio e vi   persero la vita  146 persone , in maggioranza giovani operaie donne immigrate dall'Italia , dell'Europa orientale.....Una folla di 100 mila persone partecipò ai funerali. La mimosa, scelta in Italia dall'Unione donne italiane come fiore simbolo di questa data, fece la sua prima comparsa alla manifestazione dell'8 marzo 1946 ma in realtà è il tulipano l'emblema mondiale dell'anniversario. Da ricordare che solo dal 1977 che la Festa della Donna è riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite.
Molti fatti menzionati sopra come sempre accade, vengono messi in dubbio e snaturati dalla stampa reazionaria che in qualsiasi maniera vuol cancellare  la storia e le lotte comuniste
                                                            BY SANDINO
                                                                                   PRC PIOMBINO (LI)

giovedì 7 marzo 2013

Piombino, il Prc nel mirino (Lliberazione on line)

 

  Piombino, il Prc nel mirino


Una azione premeditata e ben organizzata contro la federazione del Prc di Piombino e il suo segretario Alessandro Favilli, quella che è stata realizzata da ignoti tre giorni fa e che continua a creare allarme nella cittadina toscana.
Nella notte la sede della federazione del partito è stata imbrattata con vernice gialla fosforescente, scritte incomprensibili simili a quelle che si notano in numerose città italiane, ma con all’interno una frase netta di due parole «Siete morti». Nella stessa nottata, dall’altra parte della città, il segretario cittadino, nonché membro della segreteria regionale, dirigente molto conosciuto e stimato, si è ritrovato la propria automobile imbrattata di vernice, stavolta di colore rosso.
È stato lo stesso Favilli a far presente come evidentemente l’azione di teppismo sia stata studiata a tavolino e programmata: «Fino a pochi giorni fa tenevo l’automobile in un garage. Solo da alcuni giorni ho trovato modo di parcheggiarla nei pressi della mia abitazione». La stessa automobile già nel 2007 venne imbrattata, con vernice nera, da persone rimaste ancora sconosciute. Si tratta di azioni dirette specificatamente contro il Prc, raccontano i compagni; nella stessa via, a pochi metri, la locale sede del Pd è rimasta totalmente intonsa.
Attestati di solidarietà e di condanna per il gesto sono arrivati dall’Udc locale, da Sinistra Critica, dal Pd, dal Pcl e da Legambiente, anche Beppe Grillo nel suo blog ha condannato il gesto. Ad indagare sono intervenuti prima i carabinieri e poi, trattandosi di episodio di carattere evidentemente politico, la Digos: «Né il partito, né io – racconta Favilli – abbiamo ricevuto minacce o altro di recente. Certo che frasi e slogan del tipo “siete morti” sono ricorse spesso in questa campagna elettorale appena terminata e così accesa. Evidentemente qualcuno deve averli presi sul serio. Nei prossimi giorni dovevo dimettermi dal mio ruolo di segretario – conclude Favilli – ma non lo farò adesso, non vorrei passare per uno che si è lasciato intimorire. Quanto
 accaduto più che farmi arrabbiare mi deprime, mi dimostra a quale livello è giunta la vita politica anche nella mia cittadina. Quello che mi ha sollevato è stata la reazione dei cittadini. Sono venuti oltre al sindaco attuale tre suoi predecessori, i militanti del Pd e semplici abitanti a portarci la loro solidarietà mentre svolgevamo il comitato politico federale».
Favilli, che ieri, mentre si affacciava alla finestra, ha visto una persona lanciare una bottiglia, fortunatamente vuota, contro la sua abitazione, racconta che gli inquirenti considerano preoccupante la serie di accadimenti. Tra gli elementi che testimoniano come le azioni siano state ben studiate c’è il fatto che chi ha scelto le vernici utilizzate, soprattutto quella che ha danneggiato l’automobile del dirigente del Prc, sono state scelte con cura per produrre il maggior danno possibile. Una mano esperta nel campo, insomma. La solidarietà, oltre che dal gruppo regionale del partito è giunta anche dal segretario nazionale del Prc Paolo Ferrero.
Stefano Galieni

tratto Liberazione on line 6 marzo 2013

 Nella sede del PRC Piombino è nato e dimora anche il coordinamento alta Maremma per la libertà dei cinque eroi cubani
                                                                                        Momento della festa di liberazione agosto 2011


mercoledì 6 marzo 2013

Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo


Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo

Hugo Chávez non è stato un dirigente come tanti nella storia della sinistra. È stato uno di quei dirigenti politici che segnano un’intera epoca storica per il suo paese, il Venezuela, e per la patria grande latinoamericana. Soprattutto, però, ha incarnato l’ora del riscatto per la sinistra dopo decenni di sconfitte, l’ora delle ragioni della causa popolare dopo la lunga notte neoliberale. L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale. Il migliore dei mondi possibili lasciava all’America latina un ruolo subalterno e ai latinoamericani la negazione di diritti umani e civili essenziali. Carlos Andrés Pérez, da vicepresidente dell’Internazionale socialista in carica, massacrava nell’89 migliaia di cittadini inermi di Caracas per ottemperare ai voleri dell’FMI. L’America che oggi lascia Hugo Chávez, ad appena 58 anni, è un continente completamente diverso. È un continente in corso di affrancamento da molte delle sue dipendenze storiche e rinfrancato da una crescita costante che, per la prima volta, è stata sistematicamente diretta a ridurre disuguaglianze e garantire diritti.
Non voglio tediare il lettore e citerò solo un paio di dati indispensabili. Nella Venezuela “saudita”, quella considerata una gran democrazia e un modello per l’FMI, ma dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di pochi, i poveri e gli indigenti erano il 70% (49 e 21%) della popolazione. Nel Venezuela bolivariano del “dittatore populista” Chávez ne restano meno della metà (27 e 7%). A questo dato affianco la moltiplicazione del 2.300% degli investimenti in ricerca scientifica e il ricordo che, con l’aiuto decisivo di oltre 20.000 medici cubani, è stato costruito da zero un sistema sanitario pubblico in grado di dare risposte ai bisogni di tutti.
Oggi che il demonio Chávez è morto, è sotto gli occhi di chiunque abbia l’onestà intellettuale di ammetterlo cosa hanno rappresentato tre lustri di chavismo: pane, tetto e diritti. Gli osservatori onesti, a partire dall’ex-presidente statunitense Jimmy Carter, che gli ha rivolto un toccante messaggio di addio, riconoscono in Chávez il sincero democratico e il militante che si è dedicato fino all’ultimo istante «all’impegno per il miglioramento della vita dei suoi compatrioti». No, Jimmy Carter non è… chavista. Semplicemente è intellettualmente onesto ed è andato a vedere. Tutto il resto, la demonizzazione, la calunnia sfacciata, la rappresentazione caricaturale, è solo squallida disinformazione.
Chávez entra oggi nella storia ed è già leggenda perché ha mantenuto i patti e fatto quello che è l’essenza dell’idea di sinistra: lottare con ogni mezzo per la giustizia sociale, dare voce a chi non ha voce, diritti a chi non ha diritti, raggiungendo straordinari risultati concreti. In questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. Ha chiamato il suo cammino “socialismo”, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Chávez diventa così leggenda perché, in pace e democrazia, ha realizzato quello che è il dovere di qualunque dirigente socialista: prendere la ricchezza dov’è, nel caso del Venezuela nel petrolio, e investirla in beneficio delle classi popolari. Lo ha fatto al di là della retorica rivoluzionaria, propria di anni caldissimi di lotta politica, da formichina riformista. Utilizzo il termine “riformista” sapendo che a molti, sia apologeti che critici, non piace pensare che Chávez non sia stato altro che un riformista, ma radicale, in grado di raggiungere risultati considerati impossibili sulla base di defaticanti trattative e su politiche basate sulla ricerca del consenso e sulla partecipazione. Chávez è già leggenda perché ha piegato al gioco democratico un’opposizione indotta, in particolare da George Bush e José María Aznar (molto meno da Obama), all’eversione, esplicitatasi nel fallito golpe dell’11 aprile 2002 quando un popolo intero lo riportò a Miraflores e nella susseguente serrata golpista di PDVSA, la compagnia petrolifera nazionalizzata. È il controllo di quest’ultima ad aver garantito la cassaforte di politiche sociali generose.
È questo che la sinistra da operetta europea non ha mai perdonato a Chávez. Per la sinistra europea l’America latina è un remoto ricordo di gioventù, non un continente parte della nostra stessa storia. È troppo facile archiviare la presunta anomalia chavista, che è quella di un Continente, l’America latina dove destra e sinistra hanno più senso che mai, ed è necessario schierarsi, come un’utopia da chitarrate estive, Intillimani e hasta siempre comandante. È troppo scomodo riconoscerne la prassi politica nelle due battaglie storiche che Hugo Chávez ha incarnato: la lotta di classe, che portò Chávez, il ragazzo di umili origini che per studiare poteva fare solo il militare o il prete, a scegliere di stare dalla parte degli umili, e quella anticoloniale che ha preso forma nel processo d’integrazione del Continente.
Il consenso, la partecipazione al progetto chavista, si misura proprio nella vigenza, nelle classi medie e popolari venezuelane, di un pensiero contro-egemonico rispetto a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica. I latinoamericani hanno maturato nei decenni scorsi solidi anticorpi in merito. Chávez ha catalizzato tali anticorpi riportando in auge il ruolo della lotta di classe nella Storia, la continuità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni. Lo accusano di aver usato a fini di consenso la polemica contro gli Stati Uniti. C’è del vero, ma non è stato Chávez a tentare sistematicamente di rovesciare il presidente degli Stati Uniti e non è il dito di Chávez ad oscurare la luna di rapporti diseguali e ingiusti tra Nord e Sud del mondo.
Si conceda a chi scrive il ricordo dell’intervista quasi visionaria che Chávez mi concesse a fine 2004 proprio sul tema della Patria grande latinoamericana. Sento ancora la forza del suo abbraccio al momento di salutarci. Con lui c’erano Lula e Néstor Kirchner, anch’egli scomparso neanche sessantenne nel momento di massima lucidità politica, dopo aver liberato l’Argentina dalla morsa dell’FMI e restaurato lo Stato di diritto in grado di processare i violatori di diritti umani. Poi vennero Evo Morales e tutti gli altri dirigenti protagonisti della primavera latinoamericana. A Mar del Plata nel 2005 tutti insieme sconfissero il progetto criminale di George Bush che con l’ALCA voleva trasformare l’intera America latina in una maquiladora al servizio della competizione globale degli USA contro la Cina. Dire “no” agli USA: qualcosa d’impensabile!
Adesso, seppellita la pietra dello scandalo Chávez, tutti sono certi che l’anomalia rientrerà, che Nicolás Maduro non sarà all’altezza, che il partito socialista esploderà per rivalità personali e che la storia riprenderà il proprio corso come se Hugo non fosse mai esistito. Chissà; ma cento volte nell’ultimo decennio i venezuelani e i latinoamericani hanno dimostrato di ragionare con la loro testa. Hanno dimostrato di non voler tornare al modello che hanno vissuto per decenni e che oggi sta divorando il sud dell’Europa. La forza del Brasile di Dilma come potenza regionale ha superato con successo vari esami di legittimazione. Il processo d’integrazione appare un fatto irreversibile che fa da pilastro all’impedire il ritorno del «Washington consensus». No, una semplice restaurazione non è all’ordine del giorno anche se dovesse cambiare il segno politico del governo venezuelano, cosa improbabile sul breve termine, anche per l’enorme emotività causata dalla scomparsa di un leader così popolare.
Da oggi qualunque governo venezuelano e latinoamericano si dovrà misurare con la leggenda di Chávez, il presidente invitto, quattro volte rieletto dal suo popolo, in grado di sopravvivere a golpe e complotti, che aveva tutti i media contro e che solo il cancro ha sconfitto. Di dirigenti come lui o Néstor Kirchner non ne nascono tanti e il futuro non è segnato. Ma il suo lascito è enorme ed è un patrimonio che resta nelle mani del popolo.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennaro carotenuto.it
tratto da liberazione .it
del 6 marzo 2013

immagini da internet inserite dal blogger