lunedì 25 marzo 2013

Un papa nel cortile di casa / Un papa en el patio trasero

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 Un papa nel cortile di casa

Raúl Zibechi * |
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/03/2013

La gerarchia del Vaticano ha messo gli occhi sul Sud America, continente in cui ha combattuto fino alla morte (letteralmente) i teologi della liberazione. Allineata coi potenti, cosa che non le impedisce di strizzare l'occhio populista ai poveri, sta per prendere posizione di fronte all'integrazione regionale e ai governi progressisti.

"La cosa peggiore che potrebbe accadere in Sud America, sarebbe l'elezione di un papa di qui", scriveva il giornalista Martín Granovsky nelle ore prima che i cardinali ungessero Jorge Bergoglio per occupare la poltrona di Pietro. Nella misura i cui i progressisti sono stati esclusi dalle gerarchie ecclesiastiche, se il nuovo pontefice fosse sudamericano, osservava il giornalista, non sarebbe "uno stimolo per i cambiamenti che si producono nei due grandi paesi del Sud America dal 2003", Pagina 12, 13 marzo 2013).

Poche cose sono più terrene del governo della chiesa cattolica. Molte pagine si sono scritte sulle strette relazioni del Vaticano col fascismo e nazismo, col regime di Francisco Franco, sui suoi milionari investimenti in torbidi commerci, per non dire mafiosi, del legame di alcuni dei suoi più alti gerarchi con la Loggia P2 e del co-governo de facto che esercitarono con l'ultima dittatura militare argentina.

Esiste una geopolitica vaticana che non è stata enunciata, che non conta su encicliche per essere avvallata, ma che può inserirsi per la sua attuazione, in alcuni momenti decisivi della storia. Nel senso che esistono dati sufficienti che confermano l'intervento vaticano nella stessa direzione in cui vanno i potenti del mondo. L'elezione di Bergoglio è un anelito di intervento nei temi terreni dei sudamericani, affinché il cortile di casa continui ad essere sotto la sfera di influenza di Washington e contro l'integrazione del continente.

Non mancano precedenti: negli anni '50 l'atteggiamento del Vaticano verso il regime di Franco coincise, esattamente, con l'apertura di Washington verso il dittatore; negli anni '80, gli interessi della superpotenza in una America Centrale scossa da guerre interne, furono accompagnati e ritmati dalla diplomazia vaticana, con notevole sincronia.

Pio XII, l'anticomunista.

È ormai luogo comune ricordare la professione di fede democratica del Vaticano quando agonizzava il regime fascista di Benito Mussolini, al quale Pio XI aveva dato la sua benedizione, incoraggiando i cattolici italiani a votarlo nel 1929, segnalando che era "un uomo inviatoci dalla Provvidenza". Il suo successore, Pio XII, il papa della guerra fredda, approfondì l'anticomunismo e difese la scomunica dei cattolici che votavano per i comunisti.

La cosa più notevole di quel periodo è la profonda virata del Vaticano verso la potenza egemonica nata con la fine dalla seconda guerra mondiale. Virata e convergenza che hanno nell'anno 1953 un nodo più che simbolico.

Il trionfo di Franco nella guerra civile spagnola, con l'appoggio delle forze armate di Mussolini e di Adolf Hitler, provocò un acuto isolamento della Spagna dopo la sconfitta dell'Asse nel 1945. Il dopoguerra spagnolo fu particolarmente penoso per la sua popolazione poiché quell'isolamento la lasciò fuori dal Piano Marshall, col quale gli Stati Uniti lubrificarono, con migliaia di milioni di dollari, il recupero della devastata Europa.

Ma la penisola iberica è uno spazio geopolitico decisivo per il controllo del Mediterraneo e del nord dell'Africa, poiché lo Stretto di Gibilterra è la porta di entrata a due continenti.

Il crollo delle potenze coloniali in Asia e in Africa che fece da detonatore per la guerra dell'Algeria del 1954, sommata alla tradizionale indipendenza della Francia sotto l'influenza di Charles de Gaulle, fece prendere le distanze dalla politica militare degli Stati Uniti, portando Washington a cercare legami più stretti con la dittatura di Franco.

Nel 1953 si firmarono accordi ispano-statunitensi che progettarono un'alleanza militare che si realizzò nell'installazione di tre basi militari a Rota, Moron e Torrejon de Ardoz. Nel 1955 la Spagna entrò nelle Nazioni Unite e nel 1959 il presidente Dwight Eisenhower fece visita a Franco per rafforzare le relazioni. In cambio, la Spagna ricevette aiuto economico e l'appoggio per uscire dal suo isolamento internazionale.

Nello stesso anno 1953, il Vaticano mise il suo granello di sabbia per aiutare il regime a superare il suo isolamento. Pio XII firmò un concordato con Franco che dava base giuridica al cosiddetto nazional-cattolicesimo, l'ideologia del regime peninsulare che in realtà lo legittimava davanti ai cattolici del mondo. Questa convergenza di azioni tra la massima autorità cattolica e la nuova egemonia globale, sarà moneta corrente negli anni seguenti, in modo particolare in America Latina.

Giovanni Paolo II, la guerra contro il sandinismo

Nel 1983 Giovanni Paolo II realizzò un viaggio in America Centrale, quando nella regione aumentavano le guerre ad alta intensità tra regimi dittatoriali alleati di Washington e le forze sociali e politiche di sinistra. In Guatemala il regime di Efraín Ríos Montt perpetrò in quegli stessi anni un gigantesco genocidio contro la popolazione indigena e in Salvador gli squadroni della morte dell'ultradestra assassinavano chi si opponeva, tra loro l'arcivescovo di San Salvador Mons. Oscar Arnulfo Romero. In Nicaragua governava il sandinismo dal trionfo della rivoluzione nel 1979, duramente osteggiato dagli Stati Uniti che finanziavano bande terroristiche, conosciute come contras, (contrazione della parola contrarrevolucionarios, ndt) per destabilizzare il governo.

In Guatemala il papa si incontrò col dittatore genocida che poche ore prima del suo arrivo aveva fatto fucilare cinque guatemaltechi e un honduregno. In Salvador si incontra anche coi governanti, benché andasse a pregare sulla tomba di Romero. Tuttavia, le sue parole più dure non furono dirette agli assassini, bensì ai sacerdoti della teologia della liberazione. "Non vale la pena dare la vita per un'ideologia, per un vangelo mutilato, per un'opzione parziale", disse in chiara allusione ad alcuni sacerdoti che si erano arruolati nell'opposizione.

In tutte le sue visite, andò anche in Honduras e Costa Rica tra gli altri paesi, parlò a beneficio della pace. Meno in Nicaragua. Il paese era scosso dalla prima azione importante dei contras che assassinarono 17 giovani. Al contrario, l'immagine di papa Giovanni Paolo II che rimprovera Ernesto Cardenal per essere ministro del governo sandinista, inginocchiato di fronte a sua santità in segno di rispetto, fece il giro del mondo ed è impresso nell'immaginario di molti cristiani latinoamericani.

Ernesto Cardenal considerò che "quello che meno vuole (Giovanni Paolo II) è una rivoluzione massicciamente appoggiata dai cristiani come la nostra, in un paese cristiano e pertanto una rivoluzione molto popolare. E la cosa peggiore di tutto per lui, è che sia una rivoluzione con i sacerdoti".

La messa campale fu un disastro. Il papa si permise di criticare apertamente il sandinismo e chi lo ascoltava, si stima che ci fossero mezzo milione di persone, finì col fischiarlo. "Il popolo mancò di rispetto al Papa, è vero, ma il fatto è che prima il Papa aveva mancato di rispetto al popolo", scrisse Cardenal dopo aver sottolineato il rifiuto di condannare i crimini dei contras.

In America Centrale tornarono a coincidere le strategie del Pentagono e del Vaticano, punto per punto, luogo per luogo. Menzione speciale merita la convergenza di interessi contro il clero progressista e di sinistra. Il Documento di Santa Fe I , emesso nel maggio 1980 da un think tank di estrema destra diretto ad influenzare la presidenza di Ronald Reagan, ha tra le sue principali proposte quella di attaccare la teologia della liberazione: "La politica estera degli Stati Uniti deve cominciare ad affrontare e non semplicemente a reagire a posteriori, alla teologia della liberazione."

Geopolitica continentale

L'elezione di un papa latinoamericano può essere interpretata, da un punto di vista geopolitico, come riflesso dell'ascesa delle potenze emergenti e del consolidamento degli obiettivi dell'America Latina nel mondo. Tuttavia, il nuovo pontificato tende a rinforzare la politica degli Stati Uniti nel continente e sembra destinato a collocare un bastone fra le ruote dell'integrazione regionale e ad isolare così Brasile e Venezuela.

Quello che è in gioco nel continente, quello che segnerà il suo futuro, non è il destino dei curati pederasti, né la permanente diminuzione della quantità di cattolici, né il matrimonio tra omosessuali, né l'aborto, bensì l'affermazione del Sud America come un polo di potere in un mondo sempre più caotico. Questo passa, inevitabilmente, da un'integrazione orientata verso il Brasile in base a due alleanze strategiche decisive con Argentina e Venezuela.

Il capitale transnazionale fece tempo fa la sua scommessa per la destabilizzazione dell'Argentina, obiettivo condiviso dalla Casa Bianca. In questo caso non si tratta del petrolio come succede col Venezuela, bensì di una lettura corretta da parte del potere statunitense degli obiettivi tracciati dal Brasile per l'integrazione regionale. Il punto nevralgico, come segnala il diplomatico Samuel Pinheiro Guimaraes nel suo libro "Sfide brasiliane nell'era dei giganti", è l'alleanza tra i due principali paesi della regione, perché insieme hanno la capacità di trascinare tutto il resto e di neutralizzare le ingerenze esterne.

Questo punto l'ha compreso il presidente José Mujica che ha fatto sforzi per allineare l'Uruguay nell'alleanza che oggi incarna il Mercosur. L'ha capito anche la destra argentina che segue l'eco delle campane e prevede che gli obiettivi di Bergoglio nella regione saranno simili a quelli di Giovanni Paolo II con la caduta del comunismo. "L'impatto che ha per un paese il fatto che un concittadino sia scelto sommo pontefice non chiede dimostrazione. Basta ricordare quello che significò l'incoronazione di Karol Wojtyla per la Polonia e, in generale, per il socialismo reale. Uno tsunami", scrisse su La Nación l'editorialista Carlos Pagni, un estremista di destra che fu accusato dalla Delegazione Argentina delle Associazioni Israelite (DAIA) di rappresentare "una chiara espressione antisemita associabile alla peggiore tradizione dei nazismi" a causa di un articolo nel quale alludeva alla discendenza ebrea di un alto funzionario governativo.

Il nuovo papa è nelle condizioni di dare alla destra argentina la legittimità popolare ed istituzionale che non ha mai avuto, in un momento decisivo per il continente, quando l'ultima scommessa di Washington per recuperare protagonismo, l'Alleanza del Pacifico, naufraga senza rotta. Il suo pontificato non inciderà solo sul suo paese natale; aspira ad avere influenza su tutto il continente. Uno dei primi viaggi di Francesco I sarà in Brasile in luglio, ma può trasformarsi in un tour continentale. E' il momento di valutare la strategia del Vaticano in questo periodo di transizione egemonica.

    Raúl Zibechi, giornalista uruguaiano, scrive in Brecha e La Jornada ed è collaboratore di ALAI.

    www.resistenze.org

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