martedì 23 settembre 2014

Venezuela: rinnovazione per il cambiamento (PL)



Mario Esquivel*  
 
Gli aggiustamenti nel gruppo di governo venezuelano, tanto nella struttura del gabinetto come negli addetti delle diverse responsabilità, sono stati fatti per un processo di rinnovazione che implica inoltre correzioni durante il tragitto verso la trasformazione rivoluzionaria dello Stato. 

Per il giornalista ed ex vicepresidente venezuelano Josè Vicente Rangel, i cambiamenti si orientano verso un maggiore dinamismo nella gestione pubblica, lontano dalla burocrazia e dalla routine.  

Negli aggiustamenti, ha detto, si assume la territorialità come questione basilare per dare coesione al paese e facilitare il lavoro del governo, col quale lo stato può estendere le sue facilitazioni in termini uguali e giusti.
  
Le azioni concretate dal presidente della Repubblica, Nicolas Maduro, arrivano dopo un processo di diagnosi dove sono intervenuti il gabinetto ministeriale e quei funzionari con responsabilità, fatto che ha rivelato l'esistenza di resti dello Stato borghese, del burocratismo e della corruzione.  

Alcuni dei risultati hanno portato a prendere decisioni importanti, che devono organizzare le distinte dimensioni del Governo, ha affermato il Presidente.  

Le misure adottate hanno portato alla fusione di vari portafogli, prendendo in considerazione interessi specifici nella loro attività, come è il caso di quelle di Sport e Gioventù, ora nelle mani del titolare della prima di esse, Antonio Alvarez, confermato nella nomina.  

Inoltre, si sono aggiunte in questa modalità quelle di Educazione Universitaria e Scienza, Tecnologia ed Innovazione, come Abitazione e Habitat ed Ambiente.  

Insieme a ciò, Maduro ha disposto la conformazione delle vicepresidenze di Sicurezza e Sovranità Alimentare, e di Pianificazione e Conoscenza, che si sommano a quelle di Economia e Finanze, Sviluppo Sociale e delle Missioni, Sovranità Politica e Sviluppo Territoriale.  

In maniera addizionale, ha creato l'Autorità Unica Nazionale dei Tramiti e Permessi, prendendo in considerazione che il processo di revisione ha denunciato l'esistenza di almeno quattro mila 500 procedimenti burocratici che frenano le diverse attività.  

Tutto ciò risponde alla necessità di semplificare i processi e l'esecuzione delle politiche di governo.  

Rangel ha aggiunto che comincia lo sviluppo a fondo di un modello comunale per fare realtà la partecipazione del popolo nella presa di decisioni e l'esecuzione delle stesse.  

Nuove figure sono sorte per i ministeri di Agricoltura e Terre, Petrolio e Settore minerario, Alimentazione, Commercio, Comuni, Cultura, Salute, Trasporto Acquatico ed Aereo e Relazioni Estere.

In questo contesto, il dignitario ha anticipato che la rifondazione del governo si appoggerà inoltre su cinque grandi rivoluzioni, tra queste l'economica e quelle della conoscenza, missioni socialiste, politica dello Stato e costruzione del socialismo nell’ambito territoriale.  


La strategia del governo venezuelano per la trasformazione dello Stato, diretta a consolidare il nuovo modello sociale nel paese, conta anche sulle strutture del potere popolare, come elemento essenziale della sua esecuzione.  

D’accordo con le azioni previste dalle autorità, questi meccanismi avranno maggiore partecipazione diretta e permanente nella presa delle decisioni.
  
Maduro ha aggiunto che la via per avanzare in questa direzione contempla nuove istituzioni, come il Consiglio Presidenziale del Governo Popolare, conformato per rappresentanti di ogni settore che integra la società. 
 
Mentre, le prime decisioni nell'ambito finanziario hanno portato alla creazione del Fondo Speciale per l'Offensiva Economica che si è attivato con 500 milioni di dollari e tre mila milioni di bolivar (476 milioni di dollari).  

Inoltre, si sono destinati 15 mila milioni di bolivar (due mila 380 milioni di dollari) in linee di credito per imprese di manifattura, da distribuire mediante il Sistema della Banca Pubblica.  

In questo contesto, Maduro ha disposto il rilancio del Fondo Bicentenario dell'Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (Alba)-Mercato Comune del Sud (Mercosur).  

Inoltre, si aggiunge la creazione di un conto unico, denominato Fondo Strategico di Riserve nella Banca Centrale del Venezuela (BCV), che si è attivato con 750 milioni di dollari.

  
*corrispondente di Prensa Latina in Venezuela 


mercoledì 17 settembre 2014

16/18 Settembre 32° anniversario di Sabra e Shatila, la strage degli innocenti che non possiamo dimenticare

صبرا وشاتيلا، مجزرة المدنيين الابرياء العزل، التي لا يمكن نسيانها 

Sabra y Chatila, la masacre de inocentes que no podemos olvidar



Il 16 settembre ricorre il 32° anniversario dei massacri dei campi palestinesi di Beirut di Sabra e Shatila. Quando le forze fasciste libanesi (i falangisti) sotto il controllo e la diretta direzione del ministro della Difesa israeliano, Ariel Sharon, entrarono nei campi e per intere lunghe 40 ore fecero una dei più atroci e orrendi massacri della storia umana. Più di 3.000 cadaveri mutilati, dilaniati, stuprati, lasciati marcire al sole. Bambini, donne e anziani, vengono barbaramente uccisi e sepolti in fosse comuni o trasportati sui camion autorizzati dal comando diretto di Sharon.

L'orrendo massacro fu compiuto dopo l'uscita delle forze dell'Olp di Yasser Arafat, (dopo 88 giorni di eroica resistenza contro l'esercito invasore israeliano entrato in Libano il 4 giugno 1982) e la ritirata prematura della forza di pace internazionale (francesi, italiani e americani) che doveva garantire la sicurezza dei campi di Beirut.


L'8 febbraio 1983 Ariel Sharon fu costretto alle dimissione da Ministro della Difesa del governo di Menahim Begin, sulla base della condanna della Commissione israeliana di indagine Kahan, condanna che poteva anche essere confermata nel giugno 2001, dalla Corte di Cassazione Belga per i crimini di guerra e contro l'umanità, ma che per l'assenza del testimone chiave del primo responsabile materiale dell'eccidio, il falangista libanese Elie Hobeika, ucciso a Beirut in un strano attentato il giorno prima della sua testimonianza contro Ariel Sharon (il 24/1/2002), non fu confermata, appunto.


Oggi e dopo 30 anni, il popolo palestinese continua ad aspettare giustizia e una giusta condanna per i carnefici. La verità non ha bisogno di tribunali e di giudizi, perché la verità è chiara, scritta e visibile anche per chi come l'Onu e la Comunità internazionale dopo sessantasei anni non riescono e non vogliono trovare una soluzione giusta, equa e duratura del conflitto arabo-israeliano.


Non esiste pace senza giustizia, come non esiste la Palestina senza  Gerusalemme.


"Il mio popolo ha sette vite,ogni volta che muore rinasce più giovane e bello", il grande poeta palestinese Mahmoud Darwish.

Yousef Salman  Mezza luna rossa al microfono nel dibattito antimperialista promosso dal PRC Piombino/Elba

Dr. Yousef Salman
Segretario di Al Fatah
Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia

cell.: 347.9013013
y_salman@tiscali.it

YOUSEF SALMAN il 29 agosto è stato presente al dibattito “basta aggressioni imperialiste USA/Sioniste” alla festa di Liberazione Della federazione PRC Piombino/eElba,





martedì 16 settembre 2014

GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA LIBERAZIONE DEI CINQUE "
Si estende il reclamo"


25 cooperanti della Brigata Medica cubana hanno scalato il vulcano Chimborazo per ricordare da questa cima l’ingiusto processo politico e manipolato e per esigere la liberazione dei tre antiterroristi ancora prigionieri.


AMAYA SABORIT ALFONSO/ FOTO: CORTESÍA DELLA BRIGATA MEDICA CUBANA
Sedici anni sono troppi: non un minuto di più! Questo è il reclamo che giunge da vari luoghi del mondo e che si è fatto sentire anche ieri, lunedì 15, a favore della causa cubana.
La Brigata Medica Cubana in Ecuador ha raggiunto la cima del vulcano Chimborazo, come mostra di solidarietà con i Cinque, nel mezzo della Campagna Internazionale per la liberazione dei Cinque, a 16 anni dalla loro reclusione.
Oggi non è più un piccolo gruppo di persone che dirige gli sforzi per la liberazione definitiva degli antiterroristi  cubani.
Il reclamo si estende e da vari continenti si uniscono gli sforzi per esigere la pronta liberazione di Antonio, Ramón e Gerardo.
Dal Messico, come parte della Giornata di Solidarietà per la Liberazione dei Cinque e contro il Terrorismo, i membri del Partito della Rivoluzione Democratica - PRD - di questo paese hanno riaffermato la loro posizione a proposito di questa causa, mentre in Giappone i membri dell’Associazione Internazionale degli Avvocati Democratici, ha espresso a Tokio il suo impegno con la causa cubana.
Una lettera indirizzata a Barack Obama, del Consiglio dei Direttori Permanenti dell’ Associazione d’Amicizia Giappone – Cuba, è stata una delle azioni che si sono sommate alla Giornata Internazionale, che durerà sino al 6 ottobre.
I rappresentanti dei movimenti sociali e i deputati venezuelani si sono uniti al reclamo da Caracas, dove hanno reclamato la pronta liberazione degli antiterroristi. A Georgetown, in Guyana, sono state realizzate alcune azioni di reclamo per la libertà dei tre cubani ancora reclusi, sono state spedite lettere  al presidente nordamericano, ed è stato presentato un documentario sulla commissione d’investigazione che ha operato a Londra.
Inoltre sono stati distribuiti volantini sul caso.(Traduzione GM) 

giovedì 14 agosto 2014

Fidel e Chavez, due geni autenticamente popolari





Caracas, 13 ago (Prensa Latina) Fidel Castro e lo scomparso presidente venezuelano, Hugo Chavez, hanno oggi la profonda connessione di due geni, due leader genuinamente popolari, ha affermato il diplomatico cubano, German Sanchez.
Mentre Cuba celebra il compleanno del leader storico della sua Rivoluzione, Venezuela ricorda i legami che lo univano a Chavez.
Quando era solo un cadetto inesperto uscito dalle pianure venezuelane, Hugo ha sentito per la prima volta la voce dell’allora presidente cubano mentre ascoltava la radio durante una guardia, ha detto Sanchez a Prensa Latina.

“Era l'anno 1973 e Fidel parlava del golpe fascista in Cile a Salvador Allende, diceva che gli eventi si sarebbero sviluppati in un modo diverso se il popolo fosse stato armato per difendere il processo”.

Queste parole l'avevano penetrato in profondità e Chavez non le ha mai dimenticate. Poi ha scoperto poco a poco Fidel nella misura in cui si era sensibilizzato con questioni storiche e con la realtà dell'America Latina, ha rivelato il diplomatico.

In carcere, dopo la ribellione civile-militare del 4 febbraio 1992, ha letto “La historia me absolverà” ed ha trovato lì una lezione fondamentale sul ruolo storico di un leader, ha aggiunto l'autore del libro “Hugo Chavez y la resurreccion de un pueblo”.

“È stato assorbito anche nella lettura di 'Un grano de maiz', di Tomas Borges, ed ancora una volta hanno attirato la sua attenzione le parole di Fidel, che sosteneva che anche se dopo il crollo del campo socialista c'era una grande confusione nelle forze di sinistra, presto sarebbe venuta un’altra ondata di socialismo ed il mondo doveva prepararsi per quel momento”.

“L'idea era stimolante per Chavez perché sentiva che quell'ondata stava nascendo in Venezuela, anche se era necessario un salto gigantesco verso la Rivoluzione”, ha spiegato Sanchez.

“Con la sua sensibilità così bolivariana, ha scoperto in Fidel ed in Cuba un'espressione dei sogni liberatori degli eroi dell'indipendenza dell'America Latina”.

Così ha cercato nel Comandante cubano fonti nutrenti d'idee per interpretare la realtà e trovare nuove formule per il socialismo, ha considerato l'ex ambasciatore cubano a Caracas dal 1994 al 2009.

Quando Chavez è stato a L'Avana nel 1994, Fidel gli ha dato la sorpresa di aspettarlo nell'aeroporto e come più tardi ha raccontato il leader venezuelano,

da quel primo momento ha sentito uno sguardo che lo trapassava con la sua ampia capacità di penetrare l'anima delle persone attraverso gli occhi, ha ricordato Sanchez.

“Da quel momento, Fidel ha scommesso per Chavez, senza dubbio la grandezza di entrambi ha permesso loro di comprendersi e di aiutarsi a vicenda: bere dalla saggezza e dal potenziale dell'altro, e sempre mantenere il sostegno incondizionato”, ha concluso.

Ig/lvd/ifb



Prensa Latina rubrica in Italiano curata da Ida Garberi


mercoledì 13 agosto 2014

APPELLO : Una Norimberga per Israele




L’appello: una Norimberga per Israele chiuderà in settembre con la successiva consegna e certamente rimane uno strumento per fare delle nostre singole voci... un rombo se non altro fastidioso.
Per aderire inviare nome-cognome-professione-città-Stato a info@historiamagistra.it Appello-- una NORIMBERGA per ISRAELE
Noi accusiamo
Noi firmatari di questo Appello, sgomenti per gli avvenimenti in corso nella “Striscia di Gaza”, accusiamo i governanti attuali di Israele, che nei confronti del popolo palestinese stanno portando avanti una politica all’insegna dell’espansionismo coloniale, della pulizia etnica, del massacro; noi accusiamo i precedenti governanti dello Stato di Israele, i quali hanno avviato la spoliazione della terra, dei beni, della stessa memoria di un popolo vivente nella Palestina da millenni; noi accusiamo l’esercito israeliano, e tutti gli altri corpi armati di quello Stato, che fanno ricorso ai metodi più infami del colonialismo (quelli non a caso ereditati dal Terzo Reich), usano armi proibite dalle convenzioni internazionali, e si comportano come una forza coloniale di occupazione, trattando i palestinesi da esseri inferiori, da espellere, e quando possibile, con il minimo pretesto, da eliminare; noi accusiamo la classe politica, imprenditoriale e finanziaria degli
Stati Uniti d’America, senza il cui sostegno costante Israele non potrebbe neppure esistere, e che garantisce l’impunità di cui lo Stato israeliano gode; noi accusiamo governi e parlamenti degli Stati aderenti all’Unione Europea, e il Parlamento e la Commissione Europea, per complicità attiva o  passiva con l’espansionismo coloniale, la pulizia etnica, e massacri infertipopolo palestinese; noi accusiamo l’ONU per la sua incapacità di bloccare Israele, di fermare la sua arroganza, di applicare le sanzioni di condanna (ad oggi 73)  che nel corso degli anni sono state promulgate dal Consiglio di Sicurezza,  contro Israele, in particolare quelle che impongono il rientro di Israele nei  confini ante-1967 e il ritorno dei 700.000 profughi palestinesi;  noi accusiamo il sistema dei media occidentale, del tutto succube a Stati Uniti e Israele, che fornisce una volta di più una rappresentazione  falsa e addirittura rovesciata della realtà, presentando l’azione militare  israeliana come una “legittima difesa”, tutt’al più talora “sproporzionata”;  noi accusiamo il ceto intellettuale internazionale troppo sordo e lento  davanti al massacro in atto; noi accusiamo le autorità religiose del cristianesimo internazionale, a  partire dalla Chiesa di Roma, che non riescono a dire se non qualche flebile  parola “per la pace”, trascurando di dire chi sono le vittime e chi i carnefici; noi accusiamo la società israeliana nel suo complesso che, avvelenata dallo sciovinismo e dal razzismo, mostra indifferenza o peggio nei confronti   della tragedia del popolo palestinese e fa pesare una grave  minaccia sulla stessa minoranza araba;
mentre esprimiamo la nostra solidarietà e ammirazione per le personalità della cultura e cittadini e cittadine del mondo ebraico che, nonostante il clima di intimidazione, condannano le infamie inflitte al popolo palestinese, noi accusiamo i gruppi dirigenti delle Comunità israelitiche sparse per il mondo che spesso diventano complici del governo di Tel Aviv, il quale sta diventando la principale fonte di una nuova, preoccupante ondata di antisemitismo, che, nondimeno, noi respingiamo e condanniamo in modo categorico, in qualsiasi forma esso si presenti.
Esprimiamo il nostro più grande apprezzamento per quelle organizzazioni come la Rete “ECO (Ebrei contro l’occupazione), che svolgono il difficile ma fondamentale compito di dimostrare che non tutti gli ebrei condividono le scellerate politiche dei governi israeliani e lottano per la libertà del popolo palestinese.
Perciò noi chiediamo che il mondo si mobiliti contro Israele: non basta la pur importante e lodevole campagna BDS (“Boycott Disinvestment Sanctions”);
RITENIAMO CHE SI DEBBA PORTARE LO STATO DI
ISRAELE DAVANTI A UN TRIBUNALE SPECIALE INTERNAZIONALE PER LA DISTRUZIONE DELLA PALESTINA.
Non singoli esponenti militari o politici, ma un intero Stato, (e i suoi complici): il suo passato, il suo presente e il suo presumibile  futuro.
Se vogliamo salvare con il popolo palestinese, la giustizia e la verità, dobbiamo agire ora, fermando non solo il massacro a Gaza, ma il lento genocidio di un popolo.
Noi vogliamo lottare per la pacifica convivenza di arabi, ebrei, cristiani e cittadini di qualsiasi confessione religiosa o provenienza  etnica, respingendo le pretese di qualsiasi Stato “etnicamente puro”.





Noi chiediamo
UNA NORIMBERGA PER ISRAELE
  per firmare:  info@historiamagistra.it  (indicare: Nome – Cognome – Professione – Città – Stato)

  primi firmatari
  Angelo d’Orsi, ordinario di Storia del Pensiero politico,
  Università di Torino, Italia
  Domenico Losurdo, storico della filosofia, professore emerito,
  Università di Urbino, Italia
  Aldo Giannuli, storico, Università di Milano
  Gianni Vattimo, filosofo, professore emerito, già
  europarlamentare,Università di Torino, Italia
  Giulietto Chiesa, giornalista, già europarlamentare
  Piero Bevilacqua, ordinario di Storia contemporanea, Università  Sapienza, Roma, Italia
  Gian Mario Bravo, professore emerito, Università di Torino
  Georges Saro, professore di Italianistica, Parigi, Francia
  Paolo Favilli, docente universitario, Lugano, Svizzera
  Massimo Zucchetti, professore, Politecnico di Torino, Italia
  Stefano G. Azzarà, docente, Università di Urbino, Italia
  Ezio Locatelli, segretario provinciale Prc Torino, ex deputato
  Dario Gemma, Assessore al lavoro della Provincia di Alessandria,
  Alessandria,   Forum Palestina...  e seguono centinaia e centinaia di firme.

Tratto da :

Immagini da internet inserite da amministratore Blog corrente 

domenica 27 luglio 2014

IL 28 LUGLIO 1954 NASCEVA IL COMANDANTE HUGO CHAVEZ FRIAS (Documento redatto dalla rete Italiana di solidarietà con la rivoluzione Bolivariana)


Il 28 luglio del 1954 è nato a Sabaneta Hugo Rafael Chavez Frias, presidente del Venezuela, prematuramente scomparso il 5 marzo del 2013. Per certa stampa, un caudillo o un dittatore. Per i popoli del sud del mondo e per le classi popolari, un rivoluzionario e un grande statista, che ha incamminato il suo paese sulla via di un nuovo socialismo.
A 15 anni dalla prima vittoria elettorale di Hugo Chavez, il Venezuela ha realizzato importanti traguardi sociali e ha assunto un ruolo di primo piano negli organismi regionali del Latinoamerica: diritti economici sociali e culturali garantiti; partecipazione politica dei cittadini al controllo e alla gestione della cosa pubblica mediante il passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella partecipata: “Lo Stato – recita l'articolo 3 della costituzione – ha come finalità essenziale la difesa e lo sviluppo della persona e il rispetto della sua dignità, l'esercizio democratico della volontà popolare, la costruzione di una società giusta e amante della pace, la promozione della prosperità e il benessere del popolo e la garanzia della realizzazione di principi, diritti e doveri riconosciuti e istituiti da questa Costituzione. L'educazione e il lavoro sono i processi fondamentali per raggiungere detti fini”.
In un mondo in cui l'1% possiede almeno il 40% delle ricchezze globali, il Venezuela socialista ha optato per un impiego delle risorse volto alla giustizia sociale e al “massimo della felicità possibile”: anche per quelli a cui le classi dominanti riservano solo fatica e dolore. Una preziosa e concreta indicazione di rotta per queste nostre sponde, che attirano e inghiottono, mettendo gli ultimi contro i penultimi, secondo gli schemi del grande capitale internazionale. Negli ultimi anni, tra gli Stati uniti, il Canada e l'Europa, circa 10.000 persone si sono tolte la vita per i problemi causati dalla crisi economica capitalista.
Le ultime parole di Chavez, pronunciate dal letto di ospedale, sono state per l'Africa eternamente rapinata. Nella lettera inviata al III Vertice Africa-America latina e Caraibi, che si è svolto nella Guinea Equatoriale a febbraio del 2013, ha scritto: “La strategia neocoloniale è stata, dall'inizio del XIX° secolo, quella di dividere
le nazioni più vulnerabili del mondo per sottometterle a rapporti di dipendenza schiavistica. E' per questo che il Venezuela si è opposto, radicalmente e dall'inizio, all'intervento straniero in Libia, ed è per lo stesso motivo che il Venezuela reitera oggi il suo rifiuto più assoluto di ogni attività di ingerenza della Nato”. Con lo stesso spirito, il Venezuela di Nicolas Maduro ha levato con forza la voce contro l'aggressione israeliana all'eroico popolo di Palestina. Per decisione di Chavez, la Palestina riceve combustibile direttamente e a prezzi solidali.

Il Venezuela è ricco di petrolio e risorse naturali, che il governo socialista scambia con beni e servizi: da anni anche i poveri del Bronx ricevono combustibile mediante un progetto di solidarietà internazionale.
Per questo, e non per culto della personalità – incongruo per chi tenga a una effettiva emancipazione delle classi popolari – vogliamo celebrare il compleanno di Hugo Chavez con i migliori auguri per i nostri ideali, dicendo, insieme alla rivoluzione socialista bolivariana: Tutti siamo Chavez, siamo tutti Chavez. Moltiplicatori di coscienza e di rivoluzione.


Documento  redatto dalla rete  Italiana di solidarietà con la rivoluzione Bolivariana


venerdì 25 luglio 2014

disordine pianificato in Medio Oriente ed oltre :La diabolica alleanza tra il complesso industriale della difesa e della sicurezza e la lobby israeliana



due Stati  governati da criminali della peggior specie

Ismael Hossein-Zadeh * | counterpunch.org

Osservatori geopolitici delle turbolenze in Medio Oriente tendono ad addossare la colpa del caos che imperversa nella zona al presunto fallimento delle "incoerenti" "illogiche" o "contraddittorie" politiche degli Stati Uniti. Prove inconfutabili (alcune delle quali presentate in questo studio) suggeriscono, tuttavia, che in realtà il caos rappresenta il successo, non il fallimento, di quelle politiche architettate da chi trae beneficio dalla guerra e dalle operazioni militari nella regione, e oltre. Mentre le politiche americane nella regione mediorientale sono certamente irrazionali e contraddittorie dal punto di vista della pace internazionale, o anche dal solo punto di vista degli interessi nazionali degli Stati Uniti nel loro complesso, esse appaiono abbastanza logiche dal punto di vista dei beneficiari economici e geopolitici delle guerre e dei conflitti internazionali, vale a dire: (a) il complesso militare-industriale; (b) i militanti sionisti sostenitori del "grande Israele".

I semi del disordine sono stati piantati circa 25 anni fa, con il crollo del Muro di Berlino. Poiché il fondamento logico del grande apparato militare cresciuto durante gli anni della Guerra fredda era la "minaccia del comunismo", i cittadini statunitensi hanno celebrato il crollo del Muro come la fine del militarismo e l'alba dei "dividendi della pace", con riferimento ai benefici che, si sperava, molti avrebbero goduto negli Stati Uniti a seguito di un riorientamento di parte del bilancio del Pentagono verso i bisogni sociali non militari.

Ma mentre la maggior parte dei cittadini degli USA assaporavano i prospetti di quei "dividendi della pace" la cui venuta sembrava imminente, i potenti interessi coinvolti nell'aumento della spesa pubblica per ragioni militari e di sicurezza si sentivano minacciati. Non sorprendentemente, queste forze influenti si sono rapidamente mosse a fine di salvaguardare i loro interessi di fronte alla "minaccia della pace".

Per soffocare le voci che chiedevano i "dividendi della pace", coloro che traevano guadagno da guerra e militarismo cominciarono a ridefinire metodicamente le "fonti di pericolo" successive alla guerra fredda nel più ampio contesto del nuovo mondo multipolare, prospettiva che va ben oltre la tradizionale "minaccia sovietica" del mondo bipolare ancorato alla Guerra fredda. La "minaccia" degli "stati canaglia" dell'islam radicale e del "terrorismo globale" avrebbe dovuto essere identificata come il nuovo nemico, in sostituzione della "minaccia comunista dell'era sovietica".

Pubblicamente, la maggior parte delle riconsiderazioni del mondo dopo la Guerra fredda sono state sostenute dalle più alte gerarchie militari. Ad esempio, il generale Carl Vuno, capo di stato maggiore dell'Esercito degli Stati Uniti, così ha riferito ad una commissione della Camera dei rappresentanti nel maggio 1989: "Molto più problematica [di qualsiasi pericolo rappresentato dall'Unione Sovietica] è lo stato di pericolo che si sta sviluppando nel resto del mondo... In questo mondo sempre più multipolare, siamo di fronte alla possibilità di molteplici minacce provenienti da paesi e attori che stanno diventando sempre più sofisticati militarmente e politicamente più aggressivi" [2].

Il generale Colin Powell, allora capo dello stato maggiore unificato, allo stesso modo ha sostenuto davanti a una commissione del Senato che, nonostante il crollo dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti avrebbero avuto bisogno di continuare la crescita militare a causa di numerosi altri obblighi: "Con tutte queste sfide e le opportunità che si presentano alla nostra nazione, è impossibile per me credere che la smobilitazione o l'affossamento dell'esercito americano sia un percorso fattibile di azione per il futuro. Il vero 'dividendo di pace' è la pace stessa… La pace viene attraverso il mantenimento della forza" [3].

Mentre gli alti vertici militari, spesso indossando eleganti e sgargianti uniformi, hanno preso pubblicamente il centro della scena nella lotta contro il ridimensionamento del complesso militare-industriale, i militaristi civili, lavorando dentro e attorno al Pentagono insieme ai "think-tank" vicini ai "falchi", hanno tramato da dietro le quinte. Tra questi, l'allora segretario alla Difesa Dick Cheney, il suo sottosegretario Paul D. Wolfowitz, Zalmay Khalilzad, in seguito collaboratore di Wolfowitz e I. Lewis "Scooter" Libby, poi vice sottosegretario alla Difesa per la strategia. Questo gruppo di uomini, insieme ai loro opinionisti di riferimento e collaboratori (come Richard Perle, Douglas Feith, Michael Ladeen, Elliott Abrams, Donald Rumsfeld, William Kristol, John Bolton e altri) hanno lavorato diligentemente insieme al fine di scongiurare i tagli alla spesa militare del periodo successivo alla Guerra fredda. "Quello di cui avevamo paura era che la gente ad un certo punto dicesse: 'Portiamo tutte le truppe a casa e abbandoniamo le nostre posizioni in Europa'", ricordava Wolfowitz in un'intervista [4].

Sebbene questi organizzatori militari sono stati ufficialmente affiliati al Pentagono e/o all'amministrazione Bush (padre), essi anno altresì strettamente collaborato con un certo numero di associazioni e gruppi di interesse sciovinisti come l'Istituto per l'iniziativa americana [American Enterprise Institute], il Progetto per un nuovo secolo americano [Project for the New American Century] e l'Istituto ebraico per gli affari di sicurezza nazionale [Jewish Institute for National Security Affairs], creati a servizio sia della lobby degli armamenti che della lobby di Israele o di entrambi. Anche uno sguardo superficiale ai dati identificativi di questi think-tank - la loro appartenenza, le loro fonti finanziarie, le loro strutture istituzionali e altro - mostra che gli stessi sono stati creati per agire essenzialmente sui fronti istituzionali e per camuffare le incestuose relazioni politiche e di affari tra il Pentagono, i suoi principali contraenti, i vertici militari, la lobby israeliana e altre analoghe forze scioviniste dentro e attorno al governo [5].

Con uno sforzo attentamente calcolato al fine di ridefinire il mondo post-Guerra fredda come un mondo "più pericoloso", e di conseguenza predisporre una nuova "Strategia di sicurezza nazionale" [National Security Strategy] per gli Stati Uniti, questo team di pianificatori militari e think-tank militaristi ha prodotto un nuovo documento geopolitico militare per il periodo immediatamente successivo al crollo dell'Unione Sovietica, documento poi conosciuto come "Guida alla pianificazione della difesa" [Defense Planning Guidance] o "Strategia di difesa per gli anni '90" [Defense Strategy for the 1990s.]. Il documento, presentato alla Casa bianca nei primi anni 1990 ancor prima che al Congresso, era incentrato sul tema dei "punti turbolenti imprevedibili del Terzo Mondo" come nuove fonti di attenzione per la potenza militare degli Stati Uniti nell'era successiva alla guerra fredda: "Nella nuova era, prevediamo che il nostro potere militare resterà un sostegno essenziale per l'equilibrio globale… che le più probabili occasioni per l'utilizzo delle nostre forze militari possono non interessare l'Unione Sovietica mentre potrebbero verificarsi nel Terzo Mondo, dove potrebbero essere richieste nuove capacità ed approcci" [6].

Per rispondere alle "turbolenze nelle regioni più attive", la nuova situazione richiedeva una strategia di "deterrenza discriminata", una strategia militare che avrebbe dovuto "contenere e sedare i conflitti regionali o locali nel Terzo Mondo con velocità fulminea e travolgente efficacia prima che sfuggano di mano". Nel mondo successivo alla Guerra fredda, delle "molteplici fonti di minaccia", gli Stati Uniti dovevano essere pronti a combattere guerre di "bassa" e "media intensità". I concetti di bassa o media intensità non si riferiscono al livello di potenza di fuoco e alla violenza impiegata, ma alla scala geografica dei conflitti che va da una guerra totale alla più piccola guerra regionale capace di turbare il commercio internazionale o paralizzare i mercati globali.

La "Strategia di difesa per gli anni '90" ha affrontato anche l'argomento del mantenimento e dell'espansione della "profondità strategica" dell'America, un termine coniato dall'allora segretario alla Difesa Dick Cheney. "Profondità strategica" conteneva una connotazione geopolitica, significando che, all'indomani del crollo del Muro di Berlino, gli Stati Uniti dovessero estendere la loro presenza globale - in termini di basi militari, installazioni di ascolto e/o di intelligence e tecnologia militare - in aree precedentemente neutrali o sotto l'influenza dell'Unione Sovietica.

Le indicazioni politiche di queste profezie che si autoavverano erano inconfondibili: avendo così interpretato (e successivamente creato) il mondo successivo alla Guerra fredda come un luogo pieno di "molteplici fonti di minaccia per l'interesse nazionale degli Stati Uniti", i potenti beneficiari del budget del Pentagono sono riusciti a mantenere la spesa militare sostanzialmente ai livelli della Guerra fredda. I fautori di questo perdurante militarismo "si muovevano con notevole velocità per garantire che il crollo [dell'Unione Sovietica] non incidesse sul bilancio del Pentagono o sulla nostra 'posizione strategica' nel globo che avevano presidiato in nome dell'anti-comunismo" [7].

Per realizzare la così delineata "Strategia di sicurezza nazionale" nel mondo dopo la Guerra fredda, gli organizzatori dei piani militari americani hanno avuto bisogno di pretesti, il che ha significato spesso inventare o fabbricare nemici. I beneficiari dei dividendi di guerra a volte scoprirono "nemici e minacce esterne" per definizione, "decidendo unilateralmente quali azioni in tutto il mondo costituiscono atti di terrorismo", o qualificarono arbitrariamente alcuni paesi come "sostenitori del terrorismo" come ammise Bill Christinson, ex consulente CIA ormai in pensione [8].

Essi crearono anche attriti internazionali per mezzo di politiche insidiose volte a provocare rabbia e violenza, giustificando così la guerra e la distruzione, le quali attiveranno ulteriori atti di terrore e violenza, in modo da creare un circolo vizioso. Naturalmente, l'obiettivo della nefasta forza motrice che muove questa strategia autoavverante della guerra e del terrorismo è di mantenere gli elevati dividendi del business della guerra. Il defunto Gore Vidal ha satiricamente caratterizzato questa malvagia necessità dei signori della guerra e del militarismo di venire costantemente a contatto con nuove minacce e nemici come un "club del nemico del mese: ogni mese ci troviamo di fronte un nuovo nemico orrendo che dobbiamo colpire prima che ci distrugga" [9].

Una piccola guerra qui, una piccola guerra là, una guerra di bassa intensità nel paese
x, e una di media intensità nel paese y - cinicamente descritte come "guerre controllate" - divengono strategie in grado di mantenere alti gli stanziamenti militari che scorrono nelle casse del blocco di interessi economici militari-industriali, senza causare un conflitto importante o di scala mondiale che possa paralizzare del tutto i mercati mondiali.

In questo contesto - il crollo dell'Unione Sovietica, la "minaccia dei dividendi della pace" portata agli interessi del complesso militare-industriale e la conseguente necessità dei signori dei dividendi di guerra di trovare surrogati della "minaccia comunista" del tempo della Guerra fredda - il governo degli Stati Uniti affrontò gli attacchi efferati dell'11 settembre come un'opportunità per la guerra e le aggressioni e ciò non avrebbe dovuto essere una sorpresa per chiunque avesse familiarità con i malvagi bisogni del militarismo. Gli attacchi mostruosi sono stati trattati non come crimini ma come "guerra all'America". Una volta stabilito che gli Stati Uniti erano "in guerra", la crescita della spesa militare e le aggressioni militari imperialiste seguirono di conseguenza. Come ha ammesso Chalmers Johnson, alla fine la tragedia del 11 settembre è "giunta come la manna dal cielo per una amministrazione determinata a far decollare i bilanci militari" [10].

I campioni delle guerre a prelazione statunitense avevano già etichettato come "ostili" governi come quelli al potere in Iran, Iraq, Siria, Libia e Corea del Nord e come stati canaglia e/o sostenitori del terrorismo che richiedevano un "cambio di regime". Prima degli attacchi del 11 settembre, tuttavia, tali etichette demonizzatrici non erano evidentemente sufficienti a convincere il popolo americano a sostenere tali guerre e proprio la tragedia del 11 settembre è servita ai militaristi da pretesto giustificativo. Per tale motivo, il cambiamento di regime in Iraq, sarà seguito da cambiamenti simili di regimi "ostili" in molti altri paesi della regione e di tutto il mondo.

Proprio come i beneficiari dei dividendi di guerra ed il complesso militare-sicuritario-industriale, vedono la pace e la stabilità come ostile ai loro interessi, così anche i militanti sionisti sostenitori del "Grande Israele" percepiscono la pace tra Israele e i suoi vicini arabi- palestinesi come pericolo per il loro obiettivo di ottenere il controllo sulla "terra promessa". La ragione di questa paura della pace è che, secondo una serie di risoluzioni delle Nazioni Unite, la pace significherebbe il ritorno di Israele ai suoi confini pre-1967, cioè il ritiro dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza. Ma poiché i sostenitori del "Grande Israele" non sono disposti a ritirarsi da questi territori occupati, essi sono quindi terrorizzati dalla pace, di qui i loro continui tentativi di sabotare gli sforzi di pacificazione ed i negoziati.

Per lo stesso motivo, questi sostenitori visualizzano la guerra e i conflitti (o, come ha detto David Ben-Gurion, uno dei principali fondatori dello Stato di Israele, "l'atmosfera rivoluzionaria") come opportunità che favoriscono l'espulsione dei palestinesi, la semplificazione geografica della regione, ai fini di un'espansione del territorio di Israele. "Quello che è inconcepibile in tempi normali - sottolineava Ben-Gurion - è possibile in tempi rivoluzionari; e se in questo momento l'occasione è persa e ciò che è possibile non viene portato avanti, tutto un mondo è perduto" [11]. Facendo eco al malvagio pensiero per cui lo scioglimento e la frammentazione degli Stati arabi in un mosaico di gruppi etnici è possibile solo in condizioni di guerra e di conflitti socio-politici, il noto falco Ariel Sharon ha altresì sottolineato, il 24 marzo 1988, che "se la rivolta palestinese fosse continuata, Israele avrebbe dovuto fare la guerra ai suoi vicini arabi. La guerra - ha dichiarato - avrebbe fornito la 'circostanza' per l'espulsione di tutta la popolazione palestinese della Cisgiordania e di Gaza e anche dall'interno del territorio di Israele propriamente detto" [12].

Il punto di vista che la guerra avrebbe "offerto la circostanza" per l'espulsione dei palestinesi dai territori occupati si fondava sull'aspettativa che gli Stati Uniti avrebbero condiviso quest'idea e avrebbero di conseguenza sostenuto le pretese di espansione di Israele nel caso in cui fosse contemplata una guerra. L'aspettativa non è affatto stravagante o inusuale, dal momento che chi trae vantaggio dalla guerra e dalla spesa militare degli Stati Uniti rafforza tale aspettativa e volentieri ne fa un obbligo, di qui l'alleanza di fatto tra i gruppi di interesse economico militare-industriale e la lobby ebraica.

Poiché gli interessi di queste due potenti lobby convergono sul fomentare la guerra e il conflitto politico in Medio Oriente, una sinistra e potente alleanza è stata forgiata tra loro, e ciò è inquietante perché la possente macchina da guerra degli Stati Uniti è ora completata dalle quasi impareggiabili capacità di pubbliche relazioni dei falchi della lobby pro-Israele negli Stati Uniti. La convergenza e/o interdipendenza degli interessi del complesso militare-industriale e quelle del sionismo militante sulla guerra e il conflitto politico in Medio Oriente è al centro del ciclo perpetuo di violenza nella regione.

L'alleanza tra il complesso militare-industriale e la lobby israeliana non è ufficiale ed è un'alleanza di fatto; essa è sottilmente forgiata attraverso una complessa rete di potenti "think tank" militaristi come: l'Istituto per l'iniziativa americana [The American Enterprise Institute], il Progetto per un nuovo secolo americano [Project for the New American Century], il Comitato America-Israele per gli affari pubblici [America Israel Public Affairs Committee], l'Istituto per la ricerca sui media in Medio Oriente [Middle East Media Research Institute], l'Istituto di Washington per la politica del Vicino Oriente [Washington Institute for Near East Policy], il Forum per il Medio Oriente [Middle East Forum], l'Istituto nazionale per le politiche pubbliche [National Institute for Public Policy], l'Istituto ebraico per gli affari di sicurezza nazionale [Jewish Institute for National Security Affairs] e il Centro per le politiche di sicurezza [Center for Security Policy]

Nel periodo immediatamente successivo alla guerra fredda, questi think tank militaristi con i loro operatori dentro e attorno al governo hanno pubblicato una serie di documenti politici, che chiaramente e con forza hanno sollecitato l'adozione di piani di cambiamento dei confini, piani per il cambiamento demografico e per il cambiamento di regime in Medio Oriente. Ad esempio, nel 1996, un influente think tank israeliano, l'Istituto per gli studi avanzati strategici e politici [The Institute for Advanced Strategic and Political Studies], ha promosso e pubblicato un documento politico intitolato "Un taglio netto: Una nuova strategia per la messa in sicurezza del Regno", il quale ha sostenuto che il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu "dovrebbe 'dare un taglio netto' con il processo di pace di Oslo e riaffermare il diritto di Israele in Cisgiordania e Gaza. Si presentava un piano in base al quale Israele avrebbe 'plasmato il suo ambiente strategico', iniziando con la rimozione di Saddam Hussein e l'installazione di una monarchia hashemita a Baghdad, come primo passo verso l'eliminazione dei governi anti-israeliani in Siria, Libano, Arabia Saudita e Iran" [13].

In una "Lettera aperta al Presidente" (Clinton), datata 19 febbraio 1998, alcuni think tank militaristi ed altri soggetti rappresentanti il complesso militare-industriale e la lobby israeliana, hanno raccomandato "una strategia politica e militare globale per abbattere Saddam e il suo regime". Tra i firmatari della lettera vi sono i seguenti personaggi: Elliott Abrams, Richard Armitage, John Bolton, Douglas Feith, Paul Wolfowitz, David Wurmser, Dov Zakheim, Richard Perle, Donald Rumsfeld, William Kristol, Joshua Muravchik, Leon Wieseltier e l'ex deputato Stephen Solarz [14].

Nel settembre 2000, un altro think tank militarista, chiamato Progetto per il nuovo secolo americano [PNAC, Project for the New American Century], ha pubblicato un rapporto, intitolato "Ricostruire le difese dell'America: strategia, forze e risorse per un nuovo secolo" che ha raffigurato esplicitamente un ruolo imperiale degli Stati Uniti in tutto il mondo. In esso si dichiara, per esempio: "Gli Stati Uniti hanno per decenni cercato di svolgere un ruolo più permanente nella sicurezza regionale del Golfo [Persico]. Mentre il conflitto irrisolto con l'Iraq fornisce una giustificazione immediata, la necessità di una presenza sostanziale delle forze americane nel Golfo trascende la questione del regime di Saddam Hussein". I sostenitori del rapporto includevano Richard Cheney, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Lewis Libby e William Kristol, che era anche co-autore del rapporto [15].

L'influente Istituto ebraico per gli affari di sicurezza nazionale [JINSA, Jewish Institute for National Security Affaire], ha anche occasionalmente rilasciato dichiarazioni e documenti politici che hanno fortemente sostenuto "cambiamenti di regime" in Medio Oriente. Il suo consigliere Michael Ladeen, il quale è stato anche ufficiosamente consulente dell'amministrazione Bush sulle questioni mediorientali, ha apertamente affermato che era giunta l'era della "guerra totale" indicando che gli Stati Uniti dovrebbero espandere la loro politica di "cambiamenti di regime" in Iraq così come in altri paesi della regione, come l'Iran e la Siria. "Nel suo sostegno fervente per la linea dura, a favore degli insediamenti e dei coloni, delle politiche anti-palestinesi in stile Likud in Israele, l'Istituto essenzialmente ha raccomandato che 'il mutamento di regime' in Iraq dovrebbe essere solo l'iniziale pedina del domino per rovesciare a cascata l'attuale domino in Medio Oriente" [16].

In breve, vi sono prove schiaccianti (e inconfutabili) che il disordine che imperversa in Medio Oriente, Nord Africa, Europa Orientale ed Ucraina non è causa delle "errate" politiche degli Stati Uniti e dei loro alleati, come molti critici e commentatori tendono a sostenere. E' piuttosto un effetto voluto delle politiche premeditate e accuratamente costruite e di volta in volta perseguite da una diabolica alleanza tra il complesso degli interessi economici militari-industriali e la lobby israeliana nel mondo post Guerra fredda.
* Ismael Hossein-Zadeh è professore emerito di Economia alla Drake University
Note

[1] Extensive excerpts from my book, The Political Economy of U.S. Militarism, especially from chapters 4 and 6, are used in this essay.
[2] Quoted in Sheila Ryan, "Power Projection in the Middle East," in Mobilizing Democracy, edited by Greg Bates (Monroe, Maine: Common Courage Press, 1991), p. 47.
[3] Ibid., p. 46.
[4] James Mann, "The True Rationale? It's a Decade Old," Washington Post, Sunday (7 March 2004), page B02.
[5] For a detailed exposition of this dubious relationship see Ismael Hossein-zadeh, The Political Economy of U.S. Militarism (Palgrave-Macmillan 2007), chapter 6.
[6] Chalmers Johnson, The Sorrows of Empire (New York, NY: Metropolitan Books, 2004), pp. 20-21.
[7] Ibid., p. 20.
[8] Bill Christison, "The Disastrous Foreign Policies of the United States," Counterpunch.org (9 May 2002), 


http://www.counterpunch.org/christison0806.html
[9] Gore Vidal, Perpetual War for Perpetual Peace: How We Got To Be So Hated (New York: Thunder's Mouth Press/Nation Books, 2002), pp. 20-1.
[10] Chalmers Johnson, The Sorrows of Empire (New York, NY: Metropolitan Books, 2004), p. 64.
[11] Quoted in Stephen J. Sniegoski, "The War on Iraq: Conceived in Israel,"
http://vho.org/tr/2003/3/Sniegoski285-298.html.
[12] Ibid.
[13] Ibid.


[14] Ibid.
[15] Ibid.
[16] William D. Hartung, How Much Are You Making on the War, Daddy? (New York: Nation Books, 2003), p.109.








Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare




Immagini da internet  inserite da amministatore Blog corrente

mercoledì 16 luglio 2014

CON UN GOLPE DE ESTADO SE INICIÓ NUESTRA INDEPENDENCIA (discurso del Embajador Julian Isaias Rodriguez Diaz)




203º Aniversario de la Declaración de Independencia
Julián Isaías Rodríguez Díaz


...tal como diría Bolívar... ...la independencia fue el único bien que se adquirió, pero a costa de todos los demás.

foto  repertorio Ambasciatore Julián Isaías Rodríguez Díaz con Chavez
Intereses de clase, traiciones, ambiciones de lucro y complicidad con imperios poderosos se aliaron contra el pueblo. Es por ello que hoy los venezolanos nos sentimos obligados con nuestros libertadores a completar la obra liberadora y a construir la libertad definitiva.

Aún hoy en Venezuela existen individualidades, partidos y conspiradores  dispuestos a actuar como Cayo Casio Longino y como aquel célebre usurero de Roma, llamado Marco Bruto, quienes en el 44 a. C., asesinaron a Julio César.

En Venezuela hay aún mucho Cayo y los Brutos se cuentan por montones. Unos y otros se han propuesto asesinar el chavismo plebeyo y al presidente de esa gentuza que, por una casual coincidencia, es nada más y nada menos, que el presidente de todos los venezolanos.

...muy distante de aquel senado italiano del 44 a. C., que si valía la pena disolver por dictar la Ley Marcial contra Julio César, la oposición venezolana ha concretado un plan magnicida para asesinar al presidente de Venezuela, y, créanme, veo pocas distinciones entre la oposición terrorista y la otra.

El llamado sector democrático de esa oposición juega con las dos caras del Jano romano y ya uno no sabe si verdaderamente son, o no, partidarios de la violencia.

No es concebible, no es legal, ni políticamente ético una oposición que, por haber perdido un proceso electoral, asuma los derroteros de la violencia y el desconocimiento del estado de derecho que, por lo demás, ha sido quien la creó.

...se les ha llamado a estar a la altura de las circunstancias de un país, que también es de ellos,  a aceptar sus culpas y a deslindarse de la violencia, pero han preferido la simulación, la impostura y la hipocresía. Con insinceridad de farsantes juegan a estar con Dios y con el diablo.

La oposición, señoras y señores, es en cualquier sitio del planeta es una institución inherente a la democracia. Cualquier  oposición es inseparable de aquel régimen político donde la soberanía la ejerce  el pueblo. Es esa oposición auténticamente democrática la que, en Venezuela, añoramos desde el mismo día en que Hugo Rafael Chávez ganó las elecciones en 1998 y las 18 siguientes.

...la emancipación de España no nos liberó totalmente de los imperios. Después de esa independencia, otros imperios nos desunieron y nos arrancaron parte nuestras riquezas. Si, amigos y amigas, nos volvieron a colonizar y nos sometieron con la complicidad de algunos partidos y de muchas oligarquías y de unos dirigentes inconsecuentes.

Se han necesitado, ya no 300 años, como dijo Bolívar, sino más de 500 años como dijo Chávez, para dar las viejas y nuevas batallas por la independencia antes y ahora por la liberación social, económica, diplomática e intelectual de nuestros pueblos.

La democracia, amigas y amigos no es solo nacional. También debe ser internacional, y las agresiones del llamado mundo civilizado y de todos los imperios no se expresan sin embargo  democráticamente, sino a través del uso ilegal de un poderío militar que no tiene ética, ni tribunales, ni jueces que lo juzguen, ni instancias internacionales que se atrevan a condenarlo.  

Quienes creemos en una real y verdadera democracia, no podemos llamar a este monstruo que expresa su democracia de ese modo, sino con el nombre de estados camorristas o estados forajidos. No podemos calificarlos sino de estados fascinerosos, que pretenden utilizar el miedo para acosar la dignidad de los pueblos supuestamente frágiles.

...nuestro 5 de julio está a la orden de todos ustedes. Nosotros lo hemos convertido en un hecho dialéctico que se repite y se renueva. Con él construiremos patria y los que quieran patria que nos acompañen y nos refuercen solidariamente, para ayudarnos y recordarnos permanentemente que nuestro proyecto no debe desviarse de la ruta que tenemos trazada hacia  el socialismo.