giovedì 5 giugno 2014

Panama: paradiso per i capitalisti e inferno per i poveri/ Panama :Paraíso para los capitalistas, infierno para los pobres




Rubén Alexis Hernandez | rebelion.org

Giorni fa è stata diffusa una notizia che per alcuni è risultata sorprendente e/o quasi incredibile, il cui contenuto è un altro esempio di come l'opulenza di pochi va di pari passo con la miseria di milioni di persone sul pianeta; risulta che Panama, considerata da molti come la Dubai o la Taiwan, dell'America Latina, ha buona parte della sua popolazione che vive in povertà e/o nella miseria, senza accesso ai servizi pubblici e sanitari decenti. Quindi, da un punto di vista sociale, poco o nulla è servito che il paese in questione abbia avuto una crescita economica elevata e sostenuta, che sia un importante centro di commercio e della finanza mondiale, e che possieda imponenti grattacieli e altre megacostruzioni (boom del settore immobiliare). Un paradiso per chi vuole arricchirsi in qualsiasi modo, anche attraverso attività illecite come il narcotraffico (paradiso fiscale), e invece un inferno per i poveri che giorno dopo giorno lottano per poche briciole.

Di seguito trascriviamo parte della notizia citata all'inizio, nella quale ci si rende conto della disuguaglianza socio-economica derivata dal capitalismo panamense e internazionale:
"Jaime si reca ogni giorno da 25 anni al posto dove vende riviste, caramelle e campini di profumo per portare sostentamento alla sua famiglia in un quartiere povero di Panama City, la capitale dai grattacieli più alti d'America Latina.
"A Panama vi è ricchezza, quello che accade è che è mal distribuita. I più ricchi vogliono avere tutto e dare nulla ai poveri, e i politici pensano solo ai loro affari", dice Jaime alla AFP

Il governo assicura che c'è piena occupazione e che i programmi sociali hanno permesso di abbassare in cinque anni la povertà dal 33% al 26% dei 3,5 milioni di abitanti. Ma più di un terzo del lavoro è in nero, migliaia non hanno acqua pulita né un alloggio decente e nessun accesso a servizi sanitari, istruzione e trasporto.

"E' vero che Martinelli ha realizzato molte opere, ma nessuna in questo senso. Se si vuole aiutare, è meglio abbassare il costo del cibo e aumentare i salari", dice Robert Bowen, una guardia di sicurezza dell'umile quartiere El Chorrillo.
"Queste opere a me non servono a nulla, serve altro affinché il popolo sia soddisfatto. La gente che mi aiuta è questa, perché a quelli non gli interessa di noi", dice Luis Valdés, segnalando gli aiuti che ottiene urlando "amico mio", per lavare il parabrezza per una manciata di monete.
Pur ricavando reddito dal canale attraverso il quale passa il 5% del commercio marittimo mondiale, Panama è, secondo CEPAL, il sesto paese più diseguale in America Latina.
"C'è un grave problema di distribuzione della
ricchezza e dell'accesso alle infrastrutture di base. Molte persone sono in una situazione troppo difficile per dire che siamo nella 'Dubai delle Americhe'. La crescita economica ha beneficiato una élite. I milionari sono più milionari, ma a spese della sofferenza di quelli che stanno sotto", ha commentato a AFP l'analista Jaime Porcell. (Panama, una "Dubai delle Americhe"... con la povertà).

Il caso di Panama evidenzia che il capitalismo è un sistema economico ed una visione del mondo fortemente escludente, ed è un esempio di come la
élite economica su scala planetaria privilegi gli Stati che poco intervengano nei loro affari, creando e consolidando un Nuovo Ordine Mondiale basato sulla piena libertà per le
Corporations. Quello che succede a Panama è un indizio evidente che la corporocracia (neoliberismo) non è neanche lontanamente in pericolo di morte, come alcuni analisti pretendono, ed è questo un segnale terribile di ciò che attende l'umanità se non ha una reazione popolare massiccia in tutti gli angoli della Terra.

Gli individui pensanti, critici, coscienti e solidali hanno la responsabilità di plasmare una concezione della vita che nobiliti l'uomo e contribuisca a mantenere l'equilibrio e l'armonia socioambientale nel globo. A proposito, cosa dirà della situazione sociale panamense il cantautore e performer Ruben Blades, che afferma di essere un patriota?

Forse Blades segnala in modo semplicistico e evasivo, che i poveri di Panama non escono dalla loro condizione perché non vogliono, o perché non sono altro che invidiosi, o perché non lavorano duro come i ricchi, o qualsiasi altra stupidità con la quale i
pro-capitalisti cercando di giustificare tutti i danni che il capitalismo ha causato nel mondo. In sintesi, possiamo affermare che effettivamente Panama è un paradiso, ma solo per pochi soggetti avidi, astuti, maliziosi, sfruttatori, opportunisti e ladri con licenza. Il resto vive l'inferno di tutti i giorni, combattendo dure battaglie contro la fame, l'ingiustizia, la disuguaglianza e la disperazione, e sognando un futuro in cui li si rispetti almeno un po'.


Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Panama : Paraíso para los capitalistas, infierno para los pobres



Días atrás fue difundida una noticia que a algunos resultó sorprendente y/o casi increíble, cuyo contenido es otro ejemplo de cómo la opulencia de unos pocos va de la mano con la miseria de millones en el planeta; resulta que Panamá, considerada por diversos personajes como la Dubai o la Taiwán de América Latina, tiene a buena parte de su población viviendo en pobreza y/o en miseria, sin acceso a servicios públicos y sanitarios decentes. De manera que desde el punto de vista social, de poco o nada ha servido que el país en cuestión haya tenido un crecimiento económico elevado y sostenido, que sea un importante centro de comercio y de finanzas a nivel mundial, y que ostente impresionantes rascacielos y otras megaconstrucciones (auge del sector inmobiliario). Todo un paraíso para quienes desean enriquecerse de cualquier forma, incluso mediante actividades ilícitas como el narcotráfico (paraíso fiscal), y un infierno para los pobres que día a día luchan por unas migajas.
A continuación transcribimos parte de la noticia mencionada al inicio, en la que algunos testimonios dan cuenta de la desigualdad socioeconómica derivada del capitalismo panameño e internacional:
Jaime llega todos los días desde hace 25 años al puesto donde vende revistas, caramelos y muestras de perfume para llevar el sustento a su familia en un barrio pobre de Ciudad de Panamá, la capital de los rascacielos más altos de Latinoamérica.
"En Panamá hay riqueza, lo que pasa es que está mal compartida. Los más ricos se quieren quedar con todo y no darle nada al pobre, y los políticos sólo piensan en su progreso", asegura Jaime a la AFP
El gobierno asegura que hay pleno empleo y que programas sociales permitieron bajar en cinco años la pobreza del 33% al 26% de los 3,5 millones de habitantes. Pero más de un tercio del trabajo es informal, miles no tienen agua potable ni vivienda digna o no acceden a servicios de salud, educación o transporte.
"Es verdad que Martinelli ha hecho muchas obras, pero nadie come eso. Si nos quiere ayudar, que baje mejor el costo de la comida y suba el salario", opina Roberto Bowen, un guardia de seguridad del humilde barrio El Chorrillo.
"Estas obras a mí no me sirven para nada, falta más para que el pueblo esté satisfecho. La gente que a mí me ayuda es ésta, porque a la de plata no le interesamos nosotros", dice Luis Valdés, señalando a los autos que aborda gritando "mi amigo", para lavar el parabrisas por un puñado de monedas.
Pese a tener los ingresos de una vía interoceánica por donde pasa el 5% del comercio marítimo mundial, Panamá es, según Cepal, el sexto país más desigual de América Latina.
"Hay un problema serio de distribución de riqueza y acceso a infraestructuras básicas. Mucha gente está en la dura (situación difícil) como para decir que estamos en el 'Dubai de las Américas'. El crecimiento económico ha beneficiado a una élite. Los millonarios son más millonarios, pero a costa del sufrimiento de los de abajo", comentó a AFP el analista Jaime Porcell. (“Panamá, un "Dubai de las Américas"... con pobreza, https://es-us.noticias.yahoo.com/panam%C3%A1-dubai-am%C3%A9ricas-pobreza-192124139.html).
En el caso de Panamá se aprecia claramente que el capitalismo es un sistema económico-cosmovisión intensamente excluyente, y es una muestra de cómo la élite económica a escala planetaria busca que los Estados intervengan cada vez menos en sus asuntos, y de esta manera forjar y consolidar un Nuevo Orden Mundial basado en la libertad plena para las Corporaciones. Lo que pasa en Panamá es un indicio evidente de que la corporocracia (neoliberalismo) no está ni remotamente en peligro de muerte, como advierten algunos analistas, y es una señal terrible de lo que espera a la humanidad de no haber una reacción popular masiva en todos los rincones de la Tierra.

En sus manos, los individuos pensantes, críticos, conscientes y solidarios tienen la responsabilidad de dar forma a una concepción de vida que dignifique al
hombre y contribuya a preservar el equilibrio y la armonía socioambiental en el orbe. Por cierto, ¿qué dirá de la situación social panameña el cantautor y actor Rubén Blades, quien asegura ser un patriota? Posiblemente no le importe, considerando que hoy día no es más que un arrastrado ante Estados Unidos y los intereses capitalistas globales (¿o siempre lo fue?).

Quizá Blades señale de forma simplista y evasiva, que los pobres de Panamá no salen de su condición porque no quieren, o porque no son más que unos envidiosos, o porque no trabajan duro como los ricos, o cualquier otra estupidez con la que los procapitalistas intentan justificar todo el daño que el capitalismo ha ocasionado en el mundo. En resumen, podemos indicar que efectivamente Panamá es un paraíso, pero sólo para unos cuantos sujetos codiciosos, astutos, maliciosos, explotadores, oportunistas y ladrones con licencia. El resto vive el infierno cotidiano, librando duras batallas contra el hambre, la injusticia, la desigualdad y la desesperanza, y soñando con un futuro en que al menos se le respete un poco.

Rebelión ha publicado este artículo con el permiso del autor mediante una licencia de Creative Commons, respetando su libertad para publicarlo en otras fuentes.

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