giovedì 31 marzo 2016

Argentina: 40 anni tra una dittatura e l'altra/ Argentina: 40 años entre una y otra dictadura


Carlos Aznárez

Il golpe civile-militare-imprenditoriale-religioso-mediatico sviluppato dall'oligarchia, con un significativo sostegno degli Stati Uniti, è stato coronato nel marzo 1976, ma era già in gestazione da molto tempo, in funzione dei deliri e delle complicità del governo di Isabel Perón e José López Rega in prima istanza e successivamente della stretta relazione tra la vedova di Perón e dei suoi seguaci (Italo Luder per esempio) coi settori più reazionari dei vertici militari. In realtà, tutto andò storto da quando Perón decise di dare per terminata - brutalmente per settori più combattivi del peronismo - la cosiddetta "primavera camporista", che durò solo un paio di mesi e che risvegliò speranze in chi aveva subito 17 anni di prigionia, tortura e sparizione (ricordate l'operaio metallurgico Felipe Vallese) e che si iniziò a chiamare la "prima resistenza" e successivamente "la seconda" con inizio nella gesta del "Aramburazo"

Perón ruppe un patto non firmato coi suoi giovani più fedeli e rivoluzionari, che a quel tempo chiamava "gioventù meravigliosa" o che sul piano della resistenza armata alla dittatura del generale Lanusse, definiva "formazioni speciali". Il vecchio generale, abituato a oscillare come un pendolo, da destra a sinistra e viceversa, fra le passioni e i pensieri politici del suo Movimento, non poté sopportare che gli venisse contestato lo spazio del potere e ancor meno che in quella "avventura" si fossero imbarcati quei giovani militanti cresciuti col "Perón o Morte" sulle labbra, ma che ora sentivano che, per essere coerenti, bisognava continuare ad avanzare verso la concretizzazione di una Patria Socialista.

Ciò che avvenne dopo è più o meno conosciuto: il frustrato rincontro del leader col suo popolo a Ezeiza, dove le bande fasciste presenti nel peronismo assassinarono centinaia di combattenti, il successivo discorso di Perón che accusava le vittime della carneficina, la conformazione del governo, sotto il coordinamento di López Rega ma con l'approvazione indubbia del Generale, a quell'embrione criminale che fu la Tripla A [Alleanza Anticomunista Argentina]. Capitolo a parte la rottura tra i militanti della Tendenza Rivoluzionaria e Perón è sintetizzata in quel doloroso atto di Plaza de Mayo, nel quale il Generale insultò non solo coloro che avevano lottato per il suo ritorno, ma ruppe definitivamente la possibilità che il peronismo avanzasse per un sentiero rivoluzionario verso il socialismo. Perón scelse, come fece tante volte con i burocrati sindacali e politici, sapendo che molti di loro erano parte della squadra di sostegno e appoggio logistico (oltre a partecipare concretamente all'uccisione di militanti) dei mercenari della Tripla A. Dopo quel suicidio politico, Perón morì e con lui scomparve l'ultimo grande punto di riferimento di un momento che avrebbe potuto essere glorioso per le classi popolari, ma che non lo fu per i limiti ideologici che ciclicamente si ripetono in alcuni movimenti dalle caratteristiche progressiste. Al momento di rompere con il modello capitalista, per quanto avanzati siano i settori di base legati a quelle esperienze di potere, appare sempre un freno (ideologico) e comincia un rapida involuzione.

Il crollo del pendolo

Dopo la morte di Perón, si aprì nel Movimento il confronto tra peronisti di sinistra ed elementi fascistoidi da sempre presenti nelle sue fila, divenendo insopportabile per una società che giorno dopo giorno si svegliava contando morti su morti.

A partire da quel momento e con tutti questi precedenti a suo favore - auge, decadenza e caduta di un peronismo che abbandonava la possibilità di contendere il potere all'oligarchia e ai suoi disegni imperialisti - appare con maggiore chiarezza l'immagine di come nell'ombra era andata formandosi l'idea interventista fra i settori più duri delle Forze armate. Approfittando dello scardinamento del governo di Isabel e delle sue ricadute "caotiche ed anarcoidi", due parole futili che i militari e gruppi di destra normalmente usano ogni volta che desiderano dare una delle loro tradizionali unghiate, bastava solo mettere insieme un po' più di legna sul fuoco affinché la caduta precipitasse. Il proclama golpista del generale Videla alla fine del 1975 a Tucumán, dove i combattenti dell'ERP [Esercito Rivoluzionario del Popolo] mantenevano aperta con tremendi sacrifici un'esperienza di guerriglia contadina, lasciava intendere che a breve quel malgoverno "peronista" sarebbe stata cosa del passato.

A differenza di altre epoche in cui il potere militare interveniva nelle situazioni derivate dall'azione governativa, in tutti quegli ultimi mesi avevano preferito mantenersi come osservatori di fronte al potere politico e le sue derivazioni, oltre alla sua attiva e criminale partecipazione alla lotta di contro-guerriglia. Preparavano così il clima per quello che presto si sarebbe trasformata in una delle dittature militari più sinistre del continente. Questo potere militare aveva notato meglio di nessun altro che durante e successivamente al ritorno di Perón, le decine di migliaia di giovani con o senza armi, nei quartieri, fabbriche, come nelle scuole, università e ogni angolo del paese avevano occupato uno spazio di costruzione del potere popolare, contavano su una formazione politica di grande profondità, erano inflessibili e respingevano il consumo capitalista, immaginando per la loro generazione e per quelle future di vivere per sempre in una società nuova senza sfruttatori né sfruttati. Non accarezzavano solo la possibilità di impadronirsi del governo a medio termine ma erano convinti che avrebbero dato l'assalto al cielo. Questa percezione si radicò profondamente anche nel nemico più diretto, rappresentato da quelli in uniforme che, rinunciando ai principi degli eserciti sanmartiniani [nel solco tracciato dal generale José de San Martín, liberatore dell'Argentina dal giogo coloniale e fondatore del moderno Stato sudamericano, ndt], preferivano adorare un totem avvolto nella bandiera a stelle e strisce. E in funzione di ciò, dell'odio viscerale verso tutto quello che significava peronismo rivoluzionario o marxismo, hanno deciso di intraprendere una nuova Crociata.

Un "processo" a misura di Washington

Tra il marzo 1976 e l'aprile 1982, le tre forze armate applicarono tutti gli insegnamenti della Scuola delle Americhe e la strategia di annichilimento francese utilizzata in Algeria e in altri paesi dell'Africa. Tutto per imporre un piano economico ad uso del FMI, della Banca Mondiale e delle multinazionali più voraci. Risultato: maggiore indebitamento, distruzione dei benefici sociali acquisiti durante anni di lotta, divieto di entità corporative e partiti politici di sinistra. Per eseguire queste politiche affamatrici, era necessaria una repressione senza precedenti che a forza di sparizioni, (30 mila non è una cifra inventata ma un dato obiettivo di cosa fu quella barbarie) campi di concentramento, incarceramenti massicci e centomila esiliati involontari.

In questo quadro di morte, ci furono anche resistenze di ogni tipo. Dai conflitti dei lavoratori che sfidarono il potere militare con scioperi e boicottaggi sul lavoro fino ad azioni armate di organizzazioni che non smettevano di cercare di ricreare un clima di disturbo nei confronti del nemico nonostante venissero decimate dalla repressione.

Resistere è vincere

Di quelle rivolte organizzate e non, era difficile sapere qualcosa a causa della grande censura informativa, ma ci furono numerosi esempi di lotte che analizzate oggi acquistano un'importanza maggiore per essere state praticate in momenti di dura repressione. Decine di giovani militanti organici o non collegati alle strutture formali dei nuclei politico-militari o dei raggruppamenti di base che per ragioni di sicurezza o perché semplicemente perdevano i contatti, seguivano la lotta secondo i propri criteri di autodifesa.

Anche, e bisogna sottolinearlo ora che la destra cerca di imporre una nuova modalità del discorso unico, dal peronismo rivoluzionario e dalle organizzazioni marxiste si sono potute costruire strutture contro-informative, così utili in tempi di blackout totale. Per avere fatto parte di una di esse, sottolineo il lavoro in quel senso portato avanti da Rodolfo Walsh e da chi lo accompagnava nell'esperienza dell'Agenzia di Notizie Clandestine (ANCLA)

La questione dell'ANCLA è stata di grande importanza: bisognava trasformare uno spazio di clandestinità in una fonte contro-informativa e di denuncia degli eccessi, degli oltraggi, delle violazioni dei diritti umani (torture, omicidi, campi di concentramento) e di altre nefandezze che stavano commettendo i militari delle tre armi insieme al folto gruppo di civili che li accompagnavano nel genocidio. Inoltre, diventava fondamentale evitare la censura per fare conoscere le numerose azioni che la resistenza popolare (non solamente armata) stava compiendo giorno dopo giorno in ogni angolo del paese. L'esperienza durò poco più di un anno, ma come dicevamo è riuscita a dimostrare che "si può fare buon giornalismo in tempi molto difficili". Ed ottenere vittorie durevoli, come la Lettera alla Giunta militare che scrisse Walsh, poco prima di essere ucciso in combattimento.

Dopo la resa umiliante delle Malvine, la dittatura cominciò a preparare la sua ritirata nella misura in cui i settori popolari - alcuni dei quali avevano erroneamente appoggiato quell'avventura indetta da Galtieri - rinnovavano con maggior vigore il rifiuto di un modello autoritario imposto dalla forza delle armi. In realtà, non fu una caduta fragorosa bensì il passaggio da un modello che proteggeva il Terrorismo di Stato ad un altro rappresentato da una successione di governi che bevevano dalla fonte della democrazia borghese e rappresentativa. Democrazie rigorosamente controllate da Washington che inviò ciclicamente contingenti di multinazionali e specialisti minerari, agroalimentari e di devastazione territoriale.

A parte ciò la lotta delle organizzazioni dei diritti umani, soprattutto Madres eAbuelas [Madri e Nonne di Plaza de Mayo] che erano in prima linea nella lotta per i 30.000 detenuti-scomparsi in piena epoca dittatoriale e raddoppiarono gli sforzi nella battaglia contro le leggi dell'impunità (Legge dell'obbedienza dovuta, Legge del punto finale e il nefasto indulto menorista). Tutte queste istanze furono contestate nelle strade e quello sforzo fu l'ariete principale che, una volta arrivato il Kirchnerismo al governo, permise di avviare la revisione di tutto quanto compiuto precedentemente e dare via libera a processi per lesa umanità che riuscirono a mettere in prigione numerosi genocidi.

Questo oscuro presente

Ora, a 40 anni da quegli anni di piombo, è indubbio che il panorama locale e regionale sia cambiato molto. Per lo meno, nell'appena inaugurata esperienza macrista cominciano a vedersi atteggiamenti, gesti ed iniziative legate a frammenti del discorso autoritario della dittatura. Sia a livello economico, dove si avanza nuovamente verso l'imposizione di un piano neoliberale che, come quello imposto da José Martínez de Hoz nel 1976, richiede una repressione per facilitarne il compito, sia nell'aspetto lavorativo, compiendo un'ondata di licenziamenti che colpiscono il settore statale e privato.

Il paese vive un'altra dittatura, questa volta "democratica", legittimata dai voti, come lo fu dalle armi quella del '76 e dal beneplacito di frange reazionarie della popolazione. La società, quella parte che ha votato il macrismo, si sta rapidamente fascistizzando, tanto quanto il varo di decreti reazionari da parte del governo. Il revanscismo impera in tutti gli ordini della carica conservatrice e si stanno percorrendo strade che conducono a più attacchi ai diritti umani e alla volontà di un ampio settore del paese di difenderli ed approfondirli.

Si vive un clima di militarizzazione della società. Funzionari in divisa di varia provenienza, i quali già esistevano nel precedente governo, diventano forti per strade e tentano di interferire contro l'organizzazione popolare. A questo bisogna sommare l'apparizione di nuclei paramilitari che operano in quartieri poveri e aggiungendo in questa maniera più terrore ad un panorama di per sé già molto delicato.

Di fronte a queste situazioni, la resistenza è quasi un obbligo per coloro che si sentono militanti per la vita. Così come ai tempi della dittatura militare c'erano sempre uomini e donne che non tacevano di fronte all'ingiustizia o lavoratori che sfidavano il rincaro della vita, i licenziamenti e la presenza militare nelle fabbriche, oggi diventa necessario ricordare i motivi, la voglia ed il coraggio dei nostri 30 mila fratelli e sorelle che sfidarono tutte le difficoltà e diedero vita a una lotta per il socialismo fino alle ultime conseguenze. Se non lo facessimo, se sperassimo "di vedere cosa succede", se ci sbagliassimo sottovalutando il nemico che affrontiamo oggi, pensando che lo stesso passato non può tornare o guardassimo da altre parti per vigliaccheria, la destra imperialista vedrà spianata la strada per stare molti anni al governo. In memoria di Rodolfo Walsh e Haroldo Conti, di Santucho e Pujadas, di Carlón Pereyra Rossi e di Silvio Frondizi, di Padre Carlos Mujica e Rodolfo Ortega Peña, non possiamo permetterci altre frammentazioni e dobbiamo tentare di illuminare l'unità nell'azione, cercando di risolvere uno dei grandi temi pendenti nel campo della sinistra popolare e rivoluzionaria. Se ci riusciamo, il resto verrà da solo.




Por Carlos Aznárez, Resumen Latinoamericano,

El golpe cívico-militar-empresarial-religioso-mediático gestado por la oligarquía, con importante apoyo de los Estados Unidos fue coronado en marzo de 1976 pero venía siendo gestado desde mucho tiempo atrás, en función de los desvaríos y las complicidades del gobierno de Isabel Perón y José López Rega en primera instancia, y luego de la estrecha relación entre la viuda de Perón y sus secuaces (Italo Luder, por ejemplo) con los sectores más reaccionarios de la cúpula militar. En realidad, todo se había hecho mal desde que Perón decidió dar por terminada -brutalmente para los sectores más combativos del peronismo- la llamada “primavera camporista” que sólo duró un par de meses, y que despertó esperanzas para quienes durante 17 años habían aguantado a pie de calle, de cárcel, de tortura y hasta de desaparición (recordar al obrero metalúrgico Felipe Vallese), lo que se dio en llamar la “primera resistencia”, y posteriormente “la segunda” con fecha inicial en la gesta del “Aramburazo”.
Perón rompió un pacto no firmado con sus jóvenes más leales y revolucionarios, a los que en su momento denominó la “juventud maravillosa”, o en el plano de la resistencia armada a la dictadura del general Lanusse, caracterizó como las “formaciones especiales”. El viejo general, acostumbrado a manejar pendularmente, de derecha a izquierda y viceversa, las pasiones y pensamientos políticos de su Movimiento, no pudo soportar que le disputaran el espacio del poder y mucho menos que en esa “aventura” estuvieran embarcados esos jóvenes militantes que habían crecido con el “Perón o Muerte” entre los labios, pero que ahora sentían que para ser coherentes había que seguir avanzando hacia la concreción de una Patria Socialista.
Lo que vino después es más o menos conocido: el frustrado reencuentro del líder con su pueblo en Ezeiza, donde las bandas fascistas incluidas en el peronismo asesinaron a cientos de luchadores y luchadoras, el posterior discurso de Perón acusando a las víctimas de victimarios, la conformación desde el gobierno, bajo la coordinación de López Rega pero con el indudable visto bueno del General, de ese engendro criminal que fue la Triple A. Párrafo aparte, la ruptura entre los militantes de la Tendencia Revolucionaria y Perón, sintetizada en ese doloroso acto de Plaza de Mayo, en el que el General insultó no sólo a quienes tanto habían luchado para que él volviera, sino que quebró definitivamente la posibilidad de que el peronismo avanzara por una senda revolucionaria hacia el socialismo. Perón, eligió, como tantas veces a los burócratas sindicales y políticos, sabiendo que muchos de ellos eran parte del equipo de sostén y apoyo logístico (además de participar concretamente en asesinatos de militantes) de los mercenarios de la Triple A. Después de ese suicidio político, Perón murió y con él se fue el último gran referente de un momento que pudo ser glorioso para las clases populares, pero que no fue por limitaciones ideológicas que cíclicamente se repiten en algunos movimientos de características progresistas. A la hora de romper con el molde capitalista, por más avanzadas que estén los sectores de base ligados a esas experiencias de poder, siempre aparece un freno (ideológico) y comienza una rápida involución.
El derrumbe del péndulo
Tras la muerte de Perón, la puerta abierta al enfrentamiento entre peronistas de izquierda y elementos fascistoides de un Movimiento que siempre los contó en sus filas, se hicieron insoportables para la sociedad, que día a día se despertaba contando muertos y más muertos.
A partir de ese momento, y con todos estos antecedentes a su favor -auge, descomposición y caída de un peronismo que abandonara la posibilidad de disputar poder a la oligarquía y a sus patrones imperialistas- es que aparece con mayor claridad una foto de cómo se había ido gestando a la sombra la idea intervencionista de los sectores más gorilas de las Fuerzas Armadas. Aprovechando el desquicio del gobierno de Isabel y sus consecuencias “caóticas y anarquizantes” (dos palabrejas que los militares y grupos de derecha suelen usar siempre que desean dar uno de sus tradicionales zarpazos) sólo bastaba agregar un poco más de leña al fuego para que la caída se precipite. La proclama golpista del general Videla a fines de 1975 en Tucumán, donde los combatientes del ERP mantenían con tremendo sacrificio una experiencia de guerrilla rural. dejaba en claro que a muy corto plazo, ese desgobierno “peronista” sería cosa del pasado.
A diferencia de otras épocas donde el poder militar intervenía en las situaciones derivadas del accionar gubernamental, en todos esos últimos meses habían preferido mantenerse como observadores frente al poder político y sus derivaciones , más allá de su activa y criminal participación en la lucha anti-guerrillera. Preparaban así el clima para lo que pronto se convertiría en una de las dictaduras militares más siniestras del continente. Ese poder militar había advertido mejor que nadie que antes, durante y posteriormente al regreso de Perón, decenas de miles de jóvenes con armas o sin ellas, en barrios, fábricas, colegios, universidades y cuanto rincón del país así lo exigiera, habían ocupado un espacio de construcción de poder popular, contaban con una formación política de gran profundidad, eran austeros y rechazaban el consumo capitalista, imaginando para su generación y las futuras, la idea de vivir para siempre en una nueva sociedad sin explotadores ni explotados. No sólo arañaban la posibilidad de hacerse con el gobierno a mediano plazo sino que estaban convencidos de que tomarían los cielos por asalto. Esa percepción caló hondo también en el enemigo más directo, representado por uniformados que, renunciando a los principios de los ejércitos sanmartinianos, preferían adorar un tótem envuelto en la bandera de barras y estrellas. y en función de ello y el odio visceral a todo lo que significara peronismo revolucionario o marxismo, es que decidieron emprender una nueva Cruzada.
Un “proceso” a la medida de Washington
Entre marzo de 1976 y abril de 1982 las tres fuerzas armadas aplicaron todas las enseñanzas de la Escuela de las Américas y la estrategia de aniquilamiento de la Escuela Francesa utilizada en Argelia y en otros países de África. Todo para imponer un plan económico al uso del FMI, el Banco Mundial y las trasnacionales más voraces. Resultado: mayor endeudamiento, destrucción de los beneficios sociales adquiridos durante años de lucha, ilegalización de entidades gremiales y partidos políticos de izquierda. Para ejecutar esas políticas hambreadoras, se necesitaba una represión sin antecedentes que a fuerza de desapariciones (30 mil no es una cifra inventada sino una dato objetivo de lo que fue esa barbarie), campos de concentración, encarcelamientos masivos y cientos de miles de desterrados involuntarios.
Aún en ese marco letal hubo resistencias de todo tipo. Desde conflictos de trabajadores que desafiaron al poder militar con huelgas y trabajo a desgano hasta acciones armadas de organizaciones que a pesar de haber sido diezmadas por la represión no dejaban de intentar recrear climas de hostigamiento a semejante enemigo.
Resistir es vencer
De esas insurgencias organizadas o silvestres era difícil enterarse debido a la gran censura informativa, pero existieron numerosos ejemplos de luchas, que analizadas desde este presente adquieren una importancia mayor por haber sido practicadas en momentos de durísima represión. Protagonizaban estas ultimas, decenas de militantes juveniles orgánicos o desenganchados de las estructuras formales de los nucleamientos político-militares, o de los agrupamientos de base, que por razones de seguridad o porque simplemente perdían los contactos, seguían la lucha según sus propios criterios de autodefensa.
También, y hay que destacarlo ahora que la derecha intenta imponer una nueva modalidad de discurso único, desde el peronismo revolucionario y también desde organizaciones marxistas se pudieron armar estructuras contrainformativas, tan útiles en tiempos de apagón total. Por haber formado parte de una de ellas, destaco el trabajo en ese sentido impulsado por Rodolfo Walsh y quienes lo acompañamos en la experiencia de la Agencia de Noticias Clandestinas (ANCLA).
El tema de ANCLA era de una gran trascendencia: había que transformar un espacio de clandestinidad en una fuente contra-informativa y de denuncia sobre los desmanes, atropellos, violaciones de los derechos humanos (torturas, asesinatos, campos de concentración) y demás fechorías que estaban cometiendo los militares de las tres armas, y el grupo importante de civiles que les acompañaban en el genocidio. Además, se hacía fundamental eludir la censura para dar a conocer las numerosas acciones que la resistencia popular (no solamente la armada) estuviera generando día a día en cada rincón del país. La experiencia duró poco más de un año, pero como decíamos en ese entonces, se logró demostrar que “se puede hacer buen periodismo en tiempos muy difíciles”. Y obtener victorias perdurables, como fue la Carta a la Junta Militar que escribiera Walsh, poco antes de caer asesinado en combate.
Después de la rendición humillante de Malvinas, la dictadura comenzó a preparar su retirada, en la medida que los sectores
populares -algunos de los cuales erróneamente habían apoyado esa aventura convocada por Galtieri- renovaban con más bríos su rechazo al modelo autoritario impuesto por la fuerza de las armas. De hecho, no hubo caída estruendosa sino traspaso de un modelo que amparaba el Terrorismo de Estado a otro representado por una seguidilla de gobiernos que abrevaban en la democracia burguesa y representativa. Democracias rigurosamente vigiladas por Washington, que envió cíclicamente contingentes de multinacionales y especialistas en megaminería, agronegocios y devastación territorial.
Párrafo aparte exige la lucha de los organismos de derechos humanos, sobre todo Madres y Abuelas, que estuvieron al frente de la lucha por los 30.000 detenidos-desaparecidos en plena época dictatorial y redoblaron la exigencia en la batalla contra las leyes de impunidad (Obediencia Debida, Punto Final y el nefasto indulto menorista). Todas estas instancias fueron contestadas en la calle y ese esfuerzo fue el ariete principal que una vez llegado el Kirchnerismo al gobierno, le permitió impulsar la revisión de todo lo actuado anteriormente y dar vía libre a juicios de lesa humanidad que lograron meter en la cárcel a numerosos genocidas.
Este oscuro presente
Ahora, a 40 años de aquellos años de plomo, es indudable que el panorama local y regional ha cambiado superlativamente. Por lo menos, en la recién inaugurada experiencia macrista comienzan a visibilizarse actitudes, gestos e iniciativas ligadas a fragmentos del discurso autoritario de la dictadura. Tanto en lo económico donde se avanza nuevamente hacia la imposición de un plan neoliberal, que como en el caso del implantado por José Martínez de Hoz en 1976, necesita de la represión para facilitar su predominio, como en el aspecto laboral, descargando una oleada de despidos que afectan al ámbito estatal y privado.
El país vive otra dictadura, esta vez “democrática”, legitimada por los votos, de la misma manera que la del 76 lo fue por las armas y el beneplácito de franjas reaccionarias de la población. La sociedad, por lo menos esa parte que votó al macrismo, se está fascistizando rápidamente, tanto como el lanzamiento de decretos involucionistas por parte del gobierno. El revanchismo impera en todos los órdenes de la embestida derechista y se están recorriendo caminos que van a terminar en más ataques a los derechos humanos y a la voluntad de un amplio sector del pueblo de defenderlos y profundizarlos.
Se vive un clima de policialización de la sociedad. Uniformados de distintas procedencia –muchos ya existían en el anterior gobierno. se hacen fuertes en las calles y tratan de interferir en contra de la organización popular. A esto hay que sumarle la aparición de núcleos paramilitares que operan en barrios humildes y suman de esta manera más terror a un panorama de por sí muy delicado.
Frente a estas situaciones, la resistencia es casi una obligación de quien se sienta militante por la vida. De la misma manera que en tiempos de la dictadura militar siempre hubo hombres y mujeres que no se callaron frente a la injusticia, o trabajadores que desafiaron aumentos, despidos y la presencia militar en las fábricas, hoy se hace necesario recordar los motivos, las ganas y el coraje de nuestros 30 mil hermanos y hermanas que desafiaron todas las adversidades y despuntaron una lucha por el socialismo hasta las últimas consecuencias. Si no lo hiciéramos, si apostáramos a esperar “a ver que pasa”, si nos equivocáramos subestimando al enemigo que hoy enfrentamos, pensando en retornos a más de lo mismo, o miráramos a un costado por cobardía, la derecha imperialista verá allanado el camino para quedarse varios años en el gobierno. En memoria de Rodolfo Walsh y Haroldo Conti, de Santucho y Pujadas, del Carlón Pereyra Rossi y de Silvio Frondizi, del Padre Carlos Mujica y Rodolfo Ortega Peña, no nos podemos permitir más fragmentaciones, y sí debemos tratar de iluminar la unidad en la acción, buscando saldar uno de los grandes temas pendientes en el campo de la izquierda popular y revolucionaria. Si lo logramos, lo demás vendrá solo.


tratto da :http://www.resistenze.org/sito/re00.htm

http://www.resumenlatinoamericano.org/

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